Che combina Griseri? Trappolone per i No Tav

Ma cosa gli è preso, a Paolo Griseri? Negli anni in cui ho lavorato con lui al manifesto non ho mai pensato che fosse un incapace, come giornalista, né un estremista. Ieri, martedì, ha invece scritto sulla Repubblica un articolo, a proposito di “No Tav violenti”, zeppo di insinuazioni, giochi delle tre carte, citazioni sbagliate e altri equivalenti giornalistici delle mazze impugnate dai “neri” a Roma.

Ma cosa gli è preso, a Paolo Griseri? Negli anni in cui ho lavorato con lui al manifesto non ho mai pensato che fosse un incapace, come giornalista, né un estremista. Ieri, martedì, ha invece scritto sulla Repubblica un articolo, a proposito di “No Tav violenti”, zeppo di insinuazioni, giochi delle tre carte, citazioni sbagliate e altri equivalenti giornalistici delle mazze impugnate dai “neri” a Roma.
Si legga questa frase: «Che la Val di Susa sia diventato un riferimento per l’ala più violenta del movimento in Italia è sotto gli occhi di tutti». Mettiamo pure che sia così. Ma questo non significa una equivalenza, ossia che l’ala più violenta del movimento sia diventata un riferimento per la Val di Susa. La stessa ricostruzione degli eventi di questa estate attorno al presunto “cantiere” della Maddalena è puramente faziosa: al punto che Griseri cita con scandalo il fatto che un professore di chimica di Torino abbia svolto un’indagine epidemiologica sull’uso massiccio di gas Cs da parte della polizia. Se Paolo vuole, posso presentargli persone che hanno subito danni permanenti per aver respirato questo gas, proibito in guerra ma adoperato anche in piazza San Giovanni sabato scorso, per averlo respirato a Genova, dieci anni fa.
Ma la tesi non è da dimostrare, è già data: «Molotov e marmellate tipiche della Val Susa si alleano spesso» (e ci si immagina di veder piovere sulla testa dei poliziotti vasetti di marmellata). Peccato che poi, utilizzando un «rapporto dei servizi» che qualcuno gli ha gentilmente offerto, Griseri racconti di una divisione tra centri sociali e «anarco-insurrezionalisti»: già, è un fatto pubblico che alcuni dei frequentatori del centro sociale Askatasuna di Torino sono valsusini. Nel dicembre 2005, ai tempi dell’aggressione notturna al presidio di Venaus, quando un gruppo di poliziotti fu circondato da valligiani arrabbiati, a fare cordoni perché si mettessero in salvo incolumi furono da una parte i sindaci e dall’altra quei pericolosi “antagonisti”. Perché il movimento No Tav, come dice un loro comunicato di ieri, è fatto di tante cose diverse e se ha imparato a stare insieme per vent’anni è perché ciascuno rispetta gli altri. Cioè: non si va mai oltre quel che tutti insieme si è deciso si possa o non si possa fare.
L’inviato di Repubblica nel cyberspazio cita il sito notav.info, animato appunto da questa parte del movimento, dove si trovava un commento discutibile sui fatti di Roma e, aggiunge malignamente Griseri, anche un testo di Marco Revelli, che definisce «indecente» mettere in relazione i picchiatori romani con i No Tav. A parte che le parole di Revelli erano la trascrizione di un suo intervento a RaiNews24, in quello stesso sito si trova anche la testimonianza, sui fatti di Roma, di tre No Tav, ossia il mio amico Valerio e altri due di Bussoleno, che raccontano: «In via Cavour abbiamo evitato di essere coinvolti in episodi di teppismo e alcuni di noi hanno contestato la presenza di bandiere No Tav in mano ad un gruppo di incappucciati provocatori. Poi ci siamo spostati lateralmente superando il blocco violento dei provocatori in modo da riprendere il corteo normale verso il Colosseo».
Ma che importa? A chi interessa che il comunicato dei No Tav definisca la loro lotta «pacifica, determinata e popolare»? Che alla manifestazione di domenica prossima, in cui vorrebbero avvicinarsi alle recinzioni del «non cantiere» e tagliarlo con le cesoie, andranno «a mani nude, a volto scoperto, a testa alta»? Ieri il Tg1 ha intervistato il sindaco di Roma sul divieto di fare cortei a Roma. La conduttrice a un certo punto gli ha chiesto se non sia il caso di «vietare le manifestazioni in Val Susa», e il camerata Alemanno ha avuto un’esitazione: io che c’entro? sembrava chiedersi. L’aria che tira è questa, e uno come Griseri non ne è che un danno collaterale. Quel che è accaduto a Roma grazie agli ottocento che credono di fare la rivoluzione calpestando statuette della Madonna – e non sono che un estremo rottame del militarismo machista che ha afflitto da sempre la storia della sinistra – permette ai “manettari” di ogni tipo, da Di Pietro a Maroni, da Fassino a Gasparri, di gridare alla guerra civile, alla necessità di nuove leggi Reale, al pericolo di altre manifestazioni in Val di Susa. Un grande trappolone si è spalancato.

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