L’opera di Valentino Gerratana in un saggio per Carocci
Studioso di Rousseau e di Marx, ha curato per Einuadi l’accurata edizione dei «Quaderni dal carcere» di Antonio Gramsci
L’opera di Valentino Gerratana in un saggio per Carocci
Studioso di Rousseau e di Marx, ha curato per Einuadi l’accurata edizione dei «Quaderni dal carcere» di Antonio Gramsci
Valentino Gerratana, «filosofo democratico» e curatore dell’edizione critica dei Quaderni del carcere di Gramsci, dimostrò passione politica e rigore morale. Seppe articolare questo binomio nell’impegno al servizio del «partito nuovo» di Togliatti, come in quello della ricerca filosofica da Rousseau a Marx fino a Lukàcs. È stata questa la cifra ricorrente in un’intera generazione di intellettuali comunisti, cresciuti nella lotta antifascista e nel lavoro nei quotidiani, nelle riviste e nelle case editrici. Gerratana è l’esempio di una polivalenza della politica dell’intellettuale che ha segnato la fine di almeno tre dogmi. In primo luogo quello dannunziano: l’individuo eccezionale al servizio del culto di una personalità sempre a contatto con la marea nera del fascismo. Segue il dogma-Prezzolini che teorizzava il cinismo dello straniero in patria, quando cioè l’intellettuale nutre il disprezzo per un paese che non lo comprende. Viene infine il dogma più radicato, quello dell’intellettuale separato recluso nella «torre d’avorio». La definizione è di Gramsci di cui nel 1975 Gerratana restituì il movimento vitale del pensiero nell’attenta ricostruzione, e datazione, delle oltre tremila pagine dei Quaderni.
Rigore e passione di un uomo siciliano, emigrato a Roma durante la guerra e, con Carlo Salinari, capo della resistenza romana, che vengono amorevolmente ricomposti e narrati nel libro curato da Guido Liguori e Eleonora Forenza Valentino Gerratana, “filosofo democratico” (Carocci, pp. 165, euro 17,50). In questo volume, smilzo e preciso, dove vengono raccolti gli atti di un convegno organizzato nel 2010 dall’International Gramsci Society (fondata nel 1990 anche da Gerratana) a dieci anni dalla scomparsa, la formula gramsciana del «filosofo democratico» si staglia nella sua originaria valenza e nobiltà.
Il filosofo non è «un’individualità fisica – scrive Alfredo Reichlin in un ricordo intensissimo dello studioso di Rousseau e Labriola – ma è piuttosto un rapporto sociale attivo di modificazione dell’ambiente culturale». In questa definizione si annida un pensiero socratico che spingeva Gerratana, già professore all’università di Siena, a sostenere che «ogni maestro è sempre scolaro e ogni scolaro maestro», ma anche un altro elemento, forse più importante. Gerratana è stato in Italia uno degli intellettuali che ha applicato una delle tradizioni marxiste meno conosciute. Quella dell’intellettuale come «operatore culturale», la definizione è di Walter Benjamin, oppure come «organizzatore». Gerratana può essere considerato il paradigma contemporaneo di questa figura.
Direttore de La voce della sicilia alla fine degli anni Quaranta, poi editore prima nelle edizioni Rinascita, poi negli Editori Riuniti, personalità imprescindibile dell’Istituto Gramsci, editor per la saggistica con raffinate competenze e filologo di sapienza inimitabile, infine «rivoluzionario di professione». Se un ricordo bisogna conservare di quest’uomo così pieno dello spirito più avanzato del Novecento, è quello di un giovane capo, silenzioso e determinato partigiano nella Roma del 1944. L’immagine è di un uomo con la barba nera mal rasata, con gli occhi tristi e severi, i cui ordini erano indiscutibili per chi avrebbe realizzato le incursioni in via Rasella, lavorava per l’insurrezione popolare in una città affamata, poverissima ma profondamente vitale, pagava con la vita le torture naziste in via Tasso. Gerratana non dimenticò la conclusione della lettera che Giaime Pintor scrisse al fratello Luigi: «L’Italia è nata dal pensiero di pochi intellettuali: il Risorgimento, unico episodio della nostra storia politica, è stato lo sforzo di altre minoranze per restituire all’Europa un popolo di africani e levantini». Dietro quel tavolo dove aveva dichiarato lo stato di emergenza contro l’occupante nazista da Porta San Paolo fino a Piazza San Giovanni e oltre, e già tracciava il progetto di una cultura impiantata sulla tradizione dello storicismo italiano, Gerratana lavorava ad un salto della civiltà. Non aspirava a trasformare dall’alto quegli «africani e levantini» prima in classi, e poi in cittadini. La chiave della sua impresa politica, di cui lo stesso partito comunista aveva perso le tracce, è che senza una presa di coscienza di queste «masse» e il loro attivo coinvolgimento in una riforma politica e morale dal basso, questo paese è destinato a restare prigioniero in un eterno presente di miseria, risentimenti e impotenza.
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