Marchionne è riconoscente. Berlusconi gli ha fatto un magnifico regalo: l’articolo 8 della manovra gli dà ragione su tutto, passato (lo scempio dei diritti a Mirafiori, Pomigliano e Grugliasco), presente (le bugie sul piano industriale) e futuro (la fuga, già iniziata, dall’Italia). Marcegaglia invece, con la sua associazione legata ai riti dell’era Avanti Cristo, critica il governo ed è irriconoscente.
Marchionne è riconoscente. Berlusconi gli ha fatto un magnifico regalo: l’articolo 8 della manovra gli dà ragione su tutto, passato (lo scempio dei diritti a Mirafiori, Pomigliano e Grugliasco), presente (le bugie sul piano industriale) e futuro (la fuga, già iniziata, dall’Italia). Marcegaglia invece, con la sua associazione legata ai riti dell’era Avanti Cristo, critica il governo ed è irriconoscente. La Fiat, come diceva Gianni Agnelli, è costituzionalmente governativa. E Marchionne segue le orme dell’Avvocato, è governativo in Italia come in Polonia, in Serbia come in Turchia, per non parlare degli Stati uniti. La Fiat è governativa chiunque governi, sia per battere cassa e mettere le zampe sul denaro pubblico, sia per aprire e chiudere aziende a piacimento. Dove lo trova Marchionne un governo come quello italiano che non dice una parola quando decide di chiudere la fabbrica della Cnh a Modena, o quelle di Termini Imerese e di Valle Ufita?
Chi pensa che Marchionne sia diventato berlusconiano e per questo abbia deciso di abbandonare la nave della Confindustria – con il rischio di farla affondare o comunque restare nella nebbia della Linea d’ombra – non ha capito. Marchionne è un padrone, un padrone dell’era Dopo Cristo, se ne frega di chi sta al governo e non è interessato a occupare palazzo Chigi, l’importante è che chiunque lo occupi esegua. In fondo, non fa che estendere e inverare la filosofia della Bce, del Fondo monetario, o dell Standard&Poor’s: lo stato siamo noi, i governi sono nostri quisling, devono solo eseguire. Marchionne se ne frega anche di Confindustria, si rappresenta da sé. Semmai accusa la Marcegaglia di aver fatto comunella non solo con Cisl e Uil, che è logico, ma anche con la Cgil e questo non si fa. Dice che l’accordo del 28 giugno, ratificato a settembre tra le parti sociali, anestetizza il magnifico articolo 8 di Sacconi. Marcegaglia controbatte che, semmai, lo lubrifica. E ripete che l’obiettivo di Confindustria è lo stesso di Marchionne. Ha ragione: l’obiettivo è l’insieme dei diritti dei lavoratori, la loro dignità.
Chissà come si sentirà Susanna Camusso ascoltando questo ficcante duetto. Cosa penseranno tutti quelli che per convincere la Fiat a non abbandonare l’Italia si sono lasciati sfogliare come cipolle, a Pomigliano, a Montecitorio, a palazzo Chigi, in viale dell’Astronomia, in casa Cisl, Uil e un po’ anche in corso d’Italia. Ce l’avevano tutti con la Fiom.
La sua colpa è stata di dire apertamente cosa stesse succedendo alla Fiat e cosa sarebbe successo in tutt’Italia. Ora è successo.
Ieri Marchionne era irrefrenabile. Dopo aver licenziato Confindustria rivendicato il totale diritto a licenziare, a maggior ragione, i suoi operai, ha fatto sapere che a Mirafiori farà non due ma un suv, targato Jeep: l’Italia diventa, se va bene, una specie di maquiladora degli Usa, un posto dove gli operai non possono più scioperare, buono per decentrare la produzione, qualora servisse e per adesso non serve.
L’eroe dei due mondi ha anche detto che quel Suv si costruirà non nel 2012 come aveva giurato ma nel 2013, semmai il mercato avesse un sussulto. Quanto a lungo il nostro paese continuerà a farsi prendere in giro?
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