I rivoluzionari della East Coast

Stati Uniti Arrivano gli Occupy
Tra gli accampati di City Hall a Los Angeles, un movimento che ricorda quello di Berkeley ’64 ma è più radicato nel territorio. La protesta dilaga in decine di città  La disobbedienza sfonda nei media. E tra i dimostranti arriva il pastore rapper filosofo Cornell West

Stati Uniti Arrivano gli Occupy
Tra gli accampati di City Hall a Los Angeles, un movimento che ricorda quello di Berkeley ’64 ma è più radicato nel territorio. La protesta dilaga in decine di città  La disobbedienza sfonda nei media. E tra i dimostranti arriva il pastore rapper filosofo Cornell West

 LOS ANGELES. I primi arresti fra gli «occupanti» di Los Angeles sono avvenuti giovedì scorso quando un gruppo di militanti del presidio sorto ai piedi del municipio si è presentato a una agenzia della Bank of America chiedendo di depositare un assegno da 673 miliardi di dollari intestato a «il popolo californiano»: il risarcimento dei costi «sociali» della crisi subprime provocata dalle banche e agenzie di credito responsabili della bolla immobiliare. Un atto goliardico ma significativo di un movimento globale, acefalo e «viscerale» che nella versione californiana si ricollega alla tradizione di proteste studentesche di epoca «vietnamita», cioè il free speech movement degli studenti di Berkeley, i teach-in e la disubbidienza civile del movimento nonviolento. Nei giardini di City Hall il popolo colorito dell’occupazione, in grande maggioranza giovani, fluttua a seconda dei giorni fra qualche centinaia e poche dozzine. La caratteristica del movimento occupy in America non sono le folle oceaniche ma la capillarità sul territorio, sono una settantina le città dove è ormai attivo un presidio e in ognuna l’obiettivo principale è assicurare la continuità della presenza – negli accampamenti e nei media.

Dopo aver ignorato il fenomeno durante le prime settimane, questi ultimi hanno finito per inserire le proteste nel ciclo all-news grazie soprattutto agli episodi di disobbedienza civile e gli arresti in massa di New York, Boston, Seattle, Washington e altrove. Il movimento ha trovato così un peso «strategico» ben oltre i propri numeri effettivi delle piazze. A Los Angeles nel primo giorno dell’assemblea permanente ho parlato con Daniele Colaiacomo, italiano, in California da trent’anni, operatore della computer-animation, un trascorso di animatore e in seguito fornitore esterno della Disney, specializzato in sistemi interattivi, più recentemente vittima dello tsunami di pignoramenti che ha devastato lo stato dopo l’implosione della speculazione immobiliare. Un’esperienza diretta, insomma, del potere effettivo che le banche hanno di «declassare» la vita dell’individuo: a fronte dei ripetuti bailout governativi delle istituzioni finanziarie l’assistenza promessa da Obama alle vittime dei foreclosure non si è invece mai materializzata. «Vedere che il governo è incapace di fare il lavoro per cui lo paghiamo ci fa riunire qui» mi dice mentre lavora al sistema di live streaming dell’accampamento.
Una delle critiche mosse al movimento è quella di non essere propositivo, di non avere un progetto politico, obiezione in somma malafede alla luce della complessità della crisi attuale e dell’unica alternativa avanzata dalla destra: gestione del debito attraverso i tagli alla spesa, ovvero lo smantellamento della cosa pubblica e la decostruzione dei ceti medi. La realtà è che l’attuale mutamento di paradigma è paralizzante nella sua incomprensibile dimensione finanziaria e quindi ha la caratteristica intrinseca di esautorare i cittadini, resi impotenti, esclusi per definizione dal dibattito «specializzato»; al movimento incombe quindi in qualche modo trovare risposte «trans-ideologiche» a inedite dinamiche transnazionali. Quella del movimento, prosegue Colaiacomo, è «un’obiezione morale ma anche la realizzazione che abbiamo in qualche modo esaurito gli strumenti politici. In America siamo davanti praticamente a un partito unico. L’unica soluzione è il dissenso nonviolento, e l’unica forma di dissenso sociale per cambiare è scendere in strada e far sentire la propria voce con grandi numeri» – il 99% appunto.
È un segno forse dell’origine finanziaria della crisi che lo slogan adottato dai manifestanti sia un valore percentuale: il 99% di cittadini costretti ad azzuffarsi per le briciole lasciate dall’1% che detiene il 25% della ricchezza. Un concetto ribadito da Cornell West che questa settimana ha visitato l’accampamento. Il professore di Princeton, pastore protestante e rapper occasionale, è fautore di una militanza che aggiorna le rivendicazioni di Malcolm X (oltre che Cesar Chavez e Robert Kennedy) all’attuale post-modernità. Domenica scorsa ha tenuto un affollato comizio di solidarietà al Wilshire Temple – storica sinagoga «impegnata» del centro – in parte per contraddire le critiche di un movimento esclusivamente «bianco» (il pubblico di alcune centinaia di persone era per metà afroamericano). «Non è compito dei manifestanti formulare la soluzioni» ha sostenuto West, deplorando il «deficit di compassione» che affligge la società neoliberale, «ma riappropriare il dibattito». L’intenzione di West, protagonista di un poverty tour che ha toccato molte delle stesse città presidiate, è di riprendere il filo della war on poverty lanciata da Martin Luther King poco prima di morire in un’America dove ormai vivono sotto la soglia della povertà 50 milioni di persone.
«In tutti i dibattiti della scorsa campagna elettorale non è mai stata pronunciata la parola “poveri”. In tre anni di catastrofica crisi economica abbiamo sentito parlare di banche, di Wall Street, di Goldman Sachs ma raramente di povertà. In questa campagna elettorale dobbiamo assicurarci che lo facciano». West vuole cioè riportare il discorso dalla dimensione della macroeconomia astratta a quella umana, allargando il movimento, collegando la frustrazione dei nuovi poveri – la middle class affossata dalla crisi – alle rivendicazioni dei poveri da sempre: i ceti «urbani», le minoranze etniche, immigrati. Sarebbe anche il senso dell’ampliamento ai sindacati, il collegamento col movimento pacifista, quello che si è visto con la protesta che sabato ha provocato la chiusura del museo aerospaziale di Washington e della mostra dedicata ai bombardieri droni.
Al valore strategico del movimento intanto hanno contribuito un paio di altri elementi: gli attacchi della destra e le manovre politiche della stagione pre elettorale. Quasi da subito l’organo ufficiale conservatore, Fox News ha designato il movimento come obbiettivo primario e su tutti i talk show è passata la velina dei manifestanti come sovversivi, viziati, hippy, antiamericani e sovversivi manovrati da oscuri finanziatori battendo sul paragone sfavorevole alla giusta indignazione del Tea Party (straordinaria affermazione dato il ben documentato finanziamento di questi ultimi da parte di potenti mecenati conservatori). La linea dei mezzibusti Fox è stata adottata da numerosi candidati impegnati nel posizionamento delle primarie, alcuni come Herman Cain ne hanno fatto un cavallo di battaglia e le occupazioni sono diventate argomento di dibattito (o comunque di proclami e anatemi) durante i debates televisivi dei repubblicani, invitando a loro volta il favore di esponenti democratici al congresso.
In un clima sempre più surriscaldato è sceso in campo il New York Times, che ha speso la propria autorevolezza in un corsivo a favore dei manifestanti: «la protesta stessa è il messaggio» ha scritto il quotidiano newyorchese, «l’ineguaglianza economica sta stritolando le classi medie, ingrossando le fila dei poveri e minaccia di creare una classe subalterna permanente». Semmai è sorprendente che la protesta si stia verificando con tanto ritardo, a tre anni dal crack e dopo le ripetute infusioni di fondi pubblici ai responsabili stessi della catastrofe, che la rabbia sia montata solo lentamente. Cominciano d’altronde ora a essere chiare le conseguenze a lungo termine della sbornia finanziaria: una forbice sociale destinata ad allargarsi a dismisura e come unica strategia la gestione del debito mediante lo smantellamento del welfare. In California gli effetti del collasso dei mutui spazzatura – ma anche di 30 anni di liberismo inaugurati da Reagan – su infrastrutture e opere pubbliche sono bene evidenti, dalle scuole agli aeroporti agli ospedali. Come non pensare a una distopia apocalittica quando i vaccini invece che somministrati da strutture mediche vengono venduti in supermercati e discount?

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password