DEMOCRAZIAKMZERO Nel gran dibattito sui fatti di Roma, a me pare che la parola più chiara l’abbia detta, ieri sul manifesto, Barbara di Tommaso. Che si descrive come una persona disponibile a partecipare a quel che le paia promettere del futuro ma non ad essere «di» qualcuno. Perché – spiega – quel che la «cittadinanza attiva» cerca di fare «non è antipolitica o prepolitica o confusione: è qualcosa di diverso».
DEMOCRAZIAKMZERO Nel gran dibattito sui fatti di Roma, a me pare che la parola più chiara l’abbia detta, ieri sul manifesto, Barbara di Tommaso. Che si descrive come una persona disponibile a partecipare a quel che le paia promettere del futuro ma non ad essere «di» qualcuno. Perché – spiega – quel che la «cittadinanza attiva» cerca di fare «non è antipolitica o prepolitica o confusione: è qualcosa di diverso». Perciò, dice Barbara a proposito di quelli che si fanno «tentare dalla via militare (e maschile)», «si tratta di dire che noi facciamo e forse vogliamo un’altra cosa, siamo da un’altra parte».
Credo che l’assunto di ogni discussione su come possa crescere il movimento detto degli “indignati”, e aspirare a diventare davvero «il 99 per cento», debba prendere atto del fatto, semplice e allo stesso tempo complicatissimo, che viviamo in un altro mondo. Che parole, modi dell’organizzazione, stile di comportamento, processi decisionali, orizzonti e stili della lotta delle organizzazioni di sinistra sono definitivamente spiazzate. E che questa constatazione non comporta mettersi a lutto, bensì immergersi – le persone di sinistra – nel fiume che, apparso alla superficie alla fine del secolo a Seattle (e ancora prima nel Chiapas zapatista), apparentemente scomparso negli ultimi anni e di nuovo emerso con la forza di un’eruzione, offre di sé una narrazione piuttosto evidente. A cominciare dai due o tre fondamenti di base: la ricerca attiva e creativa di una democrazia “di persone” (come dice Manuel Castells); la constatazione del fallimento della democrazia rappresentativa (quella che gli statunitensi chiamano “corporate democracy”); l’individuazione della causa del disastro, la finanza globale; l’annuncio che il capitalismo ha fallito.
Alla fine, si può concludere – a leggere lo scarso pensiero articolato che i “neri” diffondono – che la loro è una forma estrema, ed estremamente semplificata, di politicismo: quel che fanno non ha a che fare con la vita della società, ma con la geometria di “alleanze”, pro o contro il neo-centrosinistra e chi è accusato di volergli “fare da stampella”. E’ quel che mi pare voglia dire Marco Bersani, movimento dell’acqua e Attac: lo stesso problema si è avuto nel “coordinamento 15 ottobre”, composto da gruppi che seguivano ciascuno una sua traiettoria e che infatti non è riuscito a dare un giudizio collettivo sulla manifestazione che aveva convocato. E dove anzi – posso testimoniare – c’era chi lamentava il fatto che nell’immenso corteo la gran parte della gente fosse dis-organizzata, massa senza una direzione e senza un addestramento a stare in piazza. Cioè le centinaia di migliaia, che erano l’autentico valore di quella manifestazione, una epifania – nella forma più impropria, il “corteo nazionale a Roma” – della «cittadinanza» in movimento di cui parla Barbara.
Perché, come di nuovo si chiede lei, in Italia siamo capaci di convocare un corteo nazionale, ma non di mettere in pratica le molte forme di movimento che vediamo in giro per il mondo, più coinvolgenti, più aperte, come occupare un parco per qualche mese, ciò che allude in modo potente, nella comunicazione e nei simboli, allo spazio pubblico democratico da ricostruire?
0 comments