Fuoco al blindato Individuati altri black bloc

ROMA — C’erano almeno dieci giovani attorno al blindato dei carabinieri dato alle fiamme durante gli scontri di piazza San Giovanni nel corso della manifestazione degli «Indignati» a Roma. Alcuni sono già  stati identificati.

ROMA — C’erano almeno dieci giovani attorno al blindato dei carabinieri dato alle fiamme durante gli scontri di piazza San Giovanni nel corso della manifestazione degli «Indignati» a Roma. Alcuni sono già  stati identificati. Terminate le ultime verifiche affidate agli specialisti del Ros e della Digos scatteranno nuovi provvedimenti di fermo per l’accusa di tentato omicidio di Fabio Tartaglione, il militare che era a bordo del mezzo prima che fosse incendiato. La stessa contestata a Leonardo Vecchiolla, 22 anni, di Ariano Irpino, fermato sabato scorso a Chieti mentre si preparava a partire per la Val di Susa. Non è l’unico episodio che potrebbe trovare entro pochi giorni una svolta processuale. Gli investigatori avrebbero acquisito elementi per individuare il giovane che ha distrutto la statua della Madonna custodita nella chiesa di San Marcellino. Quel ragazzo che dopo aver ridotto in frantumi il simbolo sacro si alza il passamontagna e non si accorge di essere ripreso da una telecamera.
Arriverà già oggi la decisione sulla convalida del fermo di Vecchiolla sollecitata dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti. I magistrati evidenziano come il giovane abbia «precedenti di polizia per reati connessi agli stupefacenti», ma soprattutto per un episodio analogo a quello di Roma. «Il 3 aprile 2008 — evidenziano dopo aver chiesto che venga lasciato in carcere — l’indagato partecipò alla manifestazione di protesta contro la realizzazione della discarica di rifiuti a Pustarza di Savignano Irpino, in provincia di Avellino, effettuando un blocco stradale unitamente ad altri e si rendeva partecipe dell’assembramento di personale della Digos all’interno di un blindato».
Il lavoro dei poliziotti guidati dal capo della Digos Lamberto Giannini e dei carabinieri del Ros coordinati dal colonnello Massimiliano Macilenti, si concentra sulle altre immagini girate durante gli assalti di dieci giorni fa. Episodi che, come viene ribadito nelle relazioni di servizio trasmesse alla magistratura, seguivano una strategia ben definita. «Dall’esame della dinamica dei fatti perpetrati con estrema violenza e precisa determinazione — sottolineano gli investigatori — emergeva che le azioni compiute non potevano essere estemporanee, ma dettate da una ben definita progettualità resa possibile agli autori solo dopo una loro attenta pianificazione delle condotte da adottare in relazione alla scelta degli obiettivi preventivamente rilevati, anche nel corso di sopralluoghi nel periodo precedente lo svolgimento del corteo che ha consentito l’individuazione delle zone deve era maggiormente possibile l’attacco alle forze dell’ordine e la loro successiva fuga per non essere fermati».
La convinzione degli inquirenti è che «gli episodi di guerriglia urbana siano riconducibili a un’univoca progettualità operativa resa possibile solo con l’esistenza di un contesto associativo finalizzato alla commissione di numerose, indeterminate e gravi violazioni delittuose con peculiarità che ne evidenziano la finalità di terrorismo» e per questo chiedono che agli indagati sia contestata l’aggravante specifica. Fondamentali per individuare i teppisti che divisi in due blocchi hanno devastato la città e interrotto il corteo degli «Indignati» impedendo che si arrivasse al comizio finale, si sono rivelati le centinaia di filmati girati in quelle ore. Gli investigatori si sono concentrati sui diversi assalti e poi hanno esaminato a ritroso i fotogrammi fino ad individuare il momento in cui quegli stessi giovani erano confusi tra la folla e a volto scoperto attendevano l’occasione giusta per entrare in azione.

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