IL RICORDO Parleremo ancora a lungo di Enzo Mazzi perché la sua testimonianza è difficilmente riconducibile a una sola e inflessibile interpretazione. Con la consapevolezza della possibilità di sbagliare, mi assumo perciò la responsabilità di sciogliere la contraddizione, per me apparente, fra Enzo degli anni ’70 e l’autore del libro “Il valore dell’eresia”.
IL RICORDO Parleremo ancora a lungo di Enzo Mazzi perché la sua testimonianza è difficilmente riconducibile a una sola e inflessibile interpretazione. Con la consapevolezza della possibilità di sbagliare, mi assumo perciò la responsabilità di sciogliere la contraddizione, per me apparente, fra Enzo degli anni ’70 e l’autore del libro “Il valore dell’eresia”.
Ricordo che 40 anni or sono Enzo raccomandava a se stesso ed alle Comunità di base di non farsi incastrare nelle discussioni teologiche, correndo il rischio di passare per eretiche, negando o relativizzando l’una o l’altra delle dottrine cattoliche che passavano per opinioni comuni fra i teologi, prossime alla fede.
La paura di Enzo ai primi passi del movimento delle Comunità cristiane di base in Italia era proprio quella di estenuarsi in dibattici teologici eludendo il nodo principale che era quello di contestare alla chiesa cattolica romana, istituzionale e gerarchica, una prassi di vita del tutto contraddittoria con quanto appariva evidente nelle lettere di Paolo, nei Vangeli e nella prassi delle Comunità delle origini, prima che l’imperatore Teodosio dichiarasse il cristianesimo religione dell’impero e prima ancora che l’imperatore Costantino, dopo avere emesso un editto di tolleranza nei confronti dei cristiani, si fosse preoccupato della loro identità cominciando a promuovere l’ortodossia della “grande chiesa”.
Chi legge il libro di Enzo sui valori dell’eresia condivide perfettamente l’appassionato consenso con il pensiero dinamico, creativo, critico e contestuale che la gerarchia ha condannato come eretico. Ma chi prende in considerazione, uno per uno, gli esempi di eretici di cui parla Enzo, scopre che in essi non ci fu mai nulla di eretico, se per eretico si considera un pensiero che oppone all’ortodossia della Chiesa gerarchica un’altra ortodossia.
Da Origene fino a Theillard De Chardin nessuno di questi ha voluto essere considerato eretico ma ha sempre pensato che la propria riflessione filosofico-teologica fosse una libera esercitazione. Origene parlava insistentemente di gymnasìa con la quale il credente rifletteva sulla fede in Gesù crocifisso e risorto e nel flusso creativo di grazia, che veniva dal Padre, e attraverso il Figlio nello Spirito Santo, riconduceva i credenti all’unità ricostituente l’armonia del creato.
Ma Giordano Bruno? Nella ricorrenza del quarto centenario del suo martirio la chiesa cattolica romana, aprendosi a pentimenti verso errori del suo passato, ribadiva anche in occasione del giubileo del millennio, pur deplorando il rogo, che fra l’altro oggi sarebbe anacronistico, che Giordano Bruno era stato un eretico impenitente. In verità Giordano Bruno davanti all’inquisizione di Venezia e poi anche davanti a quella di Roma si dichiarò sempre disponibile a riconoscere come opinabili o addirittura erronei i suoi dubbi sulla proprietà del linguaggio teologico nel definire persone le ipostasi della Trinità, la verginità di Maria, o la transustanziazione del pane in corpo di Cristo. L’unico punto su cui non volle cedere, meritandosi il rogo, fu il suo pensiero filosofico sulla infinità degli universi e quindi sull’impossibilità che gli universi avessero un centro.
Vano, quindi, lo sforzo di Copernico di spostare i movimenti cosmici del sistema tolemaico geocentrico a quello affermato da lui eliocentrico: l’infinito non può avere un centro. Certo Roma si sentì colpita al cuore davanti all’affermazione che non essendoci un centro dell’universo, la stessa autorità della curia veniva scagliata in periferia, ma questa è eresia? Questo oscura la chiarezza del messaggio evangelico?
Qual è dunque la linea di riferimento nella mente di Enzo per trovarsi sempre al seguito di Gesù su un cammino di salvezza dei poveri, dei senza voce, dei diseredati e dei perseguitati? Non è un’altra ortodossia da opporre all’ortodossia e alla sacralizzazione del pensiero, dei gesti rituali, dei servizi e dei carismi ma una ortoprassi che giorno per giorno veglia sulla fedeltà del discepolo nel seguire l’Evangelo.
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