Folla davanti alla chiesa di Santa Cruz – Foto: E. Corona
“Una sentenza storica, che mette in evidenza lo sforzo, la perseveranza, il lavoro e il grande impegno collettivo di istituzioni, sopravvissuti, attivisti per i diritti umani che non si sono mai arresi nella ricerca della verità ”. à‰ il commento di Amnesty International dopo la sentenza dello scorso 27 ottobre. Il Tribunal Oral Federal n. 5 della Capitale Federale argentina ha giudicato 18 persone accusate di sequestri, torture e omicidi nei confronti di 86 persone, avvenuti nell’ESMA, la famigerata Escuela Superior de Mecà¡nica de la Armada di Buenos Aires durante gli anni dell’ultima dittatura del generale Videla.
Folla davanti alla chiesa di Santa Cruz – Foto: E. Corona
“Una sentenza storica, che mette in evidenza lo sforzo, la perseveranza, il lavoro e il grande impegno collettivo di istituzioni, sopravvissuti, attivisti per i diritti umani che non si sono mai arresi nella ricerca della verità ”. à‰ il commento di Amnesty International dopo la sentenza dello scorso 27 ottobre. Il Tribunal Oral Federal n. 5 della Capitale Federale argentina ha giudicato 18 persone accusate di sequestri, torture e omicidi nei confronti di 86 persone, avvenuti nell’ESMA, la famigerata Escuela Superior de Mecà¡nica de la Armada di Buenos Aires durante gli anni dell’ultima dittatura del generale Videla.
Due assoluzioni, due condanne a 18 anni, altrettante a 25 e dodici ergastoli. Processo andato avanti per due anni e reso possibile grazie alle denunce e testimonianze dei sopravvissuti, dei parenti di quelli che non sono mai tornati. Ma che non sarebbe stato possibile senza la volontà politica di Nestor Kirchner che nel 2003, con l’approvazione della legge che dichiarava “insanabilmente nulle” le leggi cosiddette di “punto finale” e di “obbedienza dovuta” (che nella pratica garantivano l’impunità ai responsabili delle atrocità commesse durante la dittatura), ha permesso alla Corte Suprema di riaprire i vecchi processi e iniziarne di nuovi.
La sentenza dei giorni scorsi non è la prima a fare un po’ di luce sui crimini commessi durante il cosiddetto Processo di Riorganizzazione Nazionale, e assicurare alla giustizia dei criminali – e in casi come questi non si possono certo fare classifiche di importanza. Rimane però da sottolineare che questa è una sentenza con forte valenza simbolica, innanzitutto perché si tratta di crimini commessi nel Centro Clandestino di Detenzione e Tortura ESMA, dove secondo le ricostruzioni fatte a posteriori è passato il più alto numero di persone – si parla di circa 5mila persone – ma non è l’unico motivo.
Altro fatto rilevante è che tra le 86 persone per le quali si chiedeva giustizia c’erano anche tre co-fondatrici de Las Madres de Plaza de Mayo e due monache francesi. I fatti sono conosciuti come quelli della chiesa di Santa Cruz, una chiesa divenuta un punto di riferimento storico, dove le madri delle persone scomparse iniziavano a riunirsi per cercare di capire cosa stesse succedendo e come muoversi per riavere i propri figli. Da non dimenticare che le gerarchie cattoliche erano a conoscenza dell’operato dei militari, e come sottolinea in diverse pubblicazioni il giornalista argentino Horacio Verbitsky, (in particolare L’isola del silenzio e Doppio gioco) non solo ne era a conoscenza ma si rese complice della repressione attuata dalla giunta militare. La chiesa di Santa Cruz era invece una di quelle chiese militanti, dove le madri si sentivano al sicuro.
Tra i condannati all’ergastolo c’è anche Alfredo Ignacio Astiz, conosciuto con l’appellativo di “angelo biondo della morte” rivelatosi poi il capitano della Marina militare infiltratosi fingendosi il fratello di un desaparecido e che nel dicembre del 1977, con un bacio ad alcune delle persone presenti in chiesa, diede il segnale ai suoi collaboratori perché procedessero con il sequestro delle persone indicate. Azucena Villaflor, María Eugenia Ponce de Bianco e Esther Ballestrino de Careaga, e le monache Léonie Duquet e Alice Domon – che vennero a sapere delle sparizioni forzate e sistematiche e iniziarono a denunciarle – furono prelevate con la forza durante una funzione religiosa, torturate e gettate sul Rio de la Plata, probabilmente ancora vive, in uno dei voli della morte. I cadaveri delle tre madri vennero restituiti dal fiume pochi giorni dopo e seppelliti come non classificati: solo nel 2005 grazie alla prova del DNA fu possibile identificare le tre donne,e mettere insieme i pezzi del puzzle per capire quello che era successo. Uno dei dodici ergastoli è stato emesso proprio per il “giuda” di Santa Cruz.
Altro caso emblematico per cui il 27 ottobre sarà sempre una data da ricordare è che si è giudicato anche il caso del giornalista e scrittore Rodolfo Walsh, che nel 1977, a un anno dall’inizio della dittatura, inviò una “Lettera aperta alla giunta militare“. Walsh, dopo aver lavorato nella clandestinità per denunciare quello che i giornali complici del potere non osavano denunciare, fu prelevato mentre usciva di casa, per essere sequestrato ma gli spararono prima di essere trasferito all’ESMA perché oppose resistenza. “Questa è la lotta più dignitosa che della storia recente degli argentini” – ha commentato Patricia Walsh, figlia del giornalista, riferendosi alla tenacia e alla perseveranza che hanno avuto le organizzazioni per i diritti umani, las madres, abuelas, hijos e tutta la società civile argentina, per arrivare a queste sentenze.
Il Tribunal Oral Federal n. 5 deve ancora fare luce sulla sorte di 780 vittime e giudicare 70 imputati. La Commissione Interpoteri che si occupa di seguire i casi di terrorismo di Stato ha indicato il 2012 come anno in cui si auspica verrà celebrato un unico processo per tutti i casi ancora pendenti.
* inviata di Unimondo
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