Addio al «Romeo di Auschwitz»: si finse SS per liberare la fidanzata

GERUSALEMME — «Sì, l’ho amata molto», diceva: «Moltissimo. Per tutti questi anni, non è mai stata con me. Ma un po’ lo è stata. L’ho sognata migliaia di notti. Mi svegliavo piangendo. Lavoravo piangendo. Camminavo piangendo. Io e lei avevamo deciso il nostro destino. E il destino alla fine ha deciso per noi…».

GERUSALEMME — «Sì, l’ho amata molto», diceva: «Moltissimo. Per tutti questi anni, non è mai stata con me. Ma un po’ lo è stata. L’ho sognata migliaia di notti. Mi svegliavo piangendo. Lavoravo piangendo. Camminavo piangendo. Io e lei avevamo deciso il nostro destino. E il destino alla fine ha deciso per noi…». Dopo più di 66 anni, l’amore prima impossibile e poi impossibilitato del deportato numero 243 per la deportata 29558 s’è spento a Nowy Targ, una piccola città della Piccola Polonia dov’era sempre sopravvissuto, un’ottantina di chilometri dal peggiore dei lager. Jerzy Belecki, professione meccanico, se n’è andato novantenne. «In pace con se stesso e con la famiglia», ha spiegato una delle due figlie, Alicija, eppure col rimpianto mai nascosto di non avere potuto sposare Cyla, la ragazza che aveva salvato e perduto. Jerzy è stato ricordato ieri con una candela a Yad Vashem, il memoriale dell’Olocausto di Gerusalemme, di cui era uno dei Giusti. Sarà per sempre il Romeo di Auschwitz, come lo ribattezzò un cronista sbrigativo: «The Most Excellent and Lamentable Tragedy» di Jerzy e Cyla.
Le foto d’allora ci raccontano l’happy end che comunque fu. Le pagine dell’autobiografia, scritta nel 1990, la storia «così aspra e tiranna».
Lui, lo spavaldo Jerzy detto Juracku, il cappello sulle ventitré, soldato polacco catturato al confine ungherese e finito diritto in un campo di concentramento: uno dei primi a conoscere l’orrore di Auschwitz, scampato al camino solo per il suo fluente tedesco e l’utilità d’averlo al servizio trasporto cadaveri.
Lei, la giovanissima Cyla Cybulska, i capelli neri e lunghi, ebrea deportata dal ghetto di Lomza, unica sopravvissuta ai genitori, a due fratelli e a una sorella. Si vedono, «amore corre contro amore». Là dentro. «Ero un anziano del lager — ha raccontato mille volte Jerzy — e, stando all’officina, avevo un po’ di libertà di movimento. Preparai il piano con cura. Un giorno l’avvicinai e le dissi: “Della tua famiglia, sei rimasta solo tu. Forse riesco a salvarti. Verrà a prenderti un ufficiale tedesco…”. All’inizio non voleva, poi la convinsi». Qualche giorno dopo, l’ufficiale tedesco arriva sul serio: è Jerzy, con una divisa rubata dalla lavanderia e il pass d’un Rottenführer scovato in una tasca, tale Helmut Stehler, corretto a matita in Steiner «perché avevo paura d’imbattermi in qualche guardia che conoscesse Stehler». L’uomo è sicuro di sé, l’ordine ai piantoni perentorio: «Devo portare questa donna al comando per un interrogatorio urgente!». I nazisti ci cascano, la fuga riesce: «Mentre ci allontanavamo, aspettavo i colpi alle spalle. Mi facevano male le ossa dal terrore». Dieci notti a marciare nei campi, stremati, fino a un rifugio sicuro. E l’addio: lei che si nasconde in una fattoria, lui che raggiunge la Resistenza; lei che dopo un po’ lo crede morto e scappa in Svezia e poi a New York, lui che non la ritrova più e, finita la guerra, torna alla sua Nowy Targ.
«Chi non ha mai avuto una ferita — dice il Poeta — ride di chi ne porta i segni». Jerzy e Cyla vivono paralleli e lontani. Due famiglie ignare, due mondi, una cortina di ferro in mezzo. È il destino che decide di nuovo, una mattina di primavera del 1983, quando l’anziana Cyla, ormai vedova, chiacchiera con una colf polacca e le narra di come si salvò. «Ma una sera ho visto alla tv un uomo che raccontava la stessa storia!», è la folgorante rivelazione della domestica. Una telefonata: «Ho sentito — raccontava Jerzy — una donna che rideva, o forse piangeva: Juracku, sono io, la tua piccola Cyla…». L’appuntamento all’aeroporto di Cracovia. Lui che si presenta con 39 rose rosse, «quanti gli anni della nostra lontananza». Gli occhi che non sono stanchi di cercarsi. Quelli di lei, almeno. Si vedranno quella volta, e mai più. «Cyla mi chiese di lasciare tutto e d’andare a New York. Da giovani avevamo fatto progetti di sposarci, di vivere insieme. Ma scoppiò a piangere, quando le dissi: guardami, sono vecchio, ho una moglie, dei figli, dei nipoti, come faccio?». I numeri tatuati sul braccio erano ormai sbiaditi. Jerzy ieri è stato sepolto con una messa: era polacco, era cattolico.

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