V per Valle UNA NUOVA ERA

IL TEATRO OCCUPATO A ROMA DIVENTA LABORATORIO POLITICO
Dopo 108 giorni di occupazione oggi un’assemblea pubblica di attori, free-lance con la partita Iva e precari della conoscenza propone una nuova stagione per i diritti sociali

IL TEATRO OCCUPATO A ROMA DIVENTA LABORATORIO POLITICO
Dopo 108 giorni di occupazione oggi un’assemblea pubblica di attori, free-lance con la partita Iva e precari della conoscenza propone una nuova stagione per i diritti sociali

 «Sherazade che inganna la crisi: la rivolta della cultura». È il titolo da Mille e una notte scelto dagli intermittenti dello spettacolo che occupano il teatro Valle da 108 giorni per la prima assemblea nazionale dei «lavoratori della conoscenza». Articolata in una prima sessione mattutina (11-14) e pomeridiana (15-19,30), l’assemblea terminerà con un concerto alle 21 in memoria di Wangari Maathai e a sostegno della candidatura delle donne africane al prossimo premio Nobel per la pace.

Insieme a grafici, scrittori, programmatori, ricercatori, artisti e giornalisti, oltre che con i professionisti del lavoro autonomo e gli studenti, gli intermittenti del Valle cercheranno di ipnotizzare un tiranno che ha il volto triste e grigio dei tagli alla formazione, ai beni culturali e dell’imperativo del pareggio di bilancio imposto dalla famigerata lettera firmata dalla Bce. L’incontro, sostengono gli organizzatori, prevede anche una serie di interventi artistici e vuole restare «in ascolto» delle diverse rappresentanze in arrivo da Milano, Bologna, Napoli e dal teatro Marinoni di Venezia occupato dai Magazzini del Sale e dal Valle durante l’ultima mostra del cinema .
Ma più che un confessionale, o un luogo di riconoscimento di una condizione comune da parte di cittadini che svolgono un lavoro indipendente, cioè non legato alle mansioni stabilite da un contratto subordinato a tempo indeterminato, oggi il Valle proverà a diventare uno dei punti di riferimento per una nuova politica. Il progetto è ambizioso e, fatte salve le cautele di circostanza, è giunto il momento di interrogarsi sulle ragioni che hanno smosso negli ultimi tre mesi le insospettabili risorse dell’affettività collettiva e un insperato desiderio di felicità pubblica. Sono più di 13 mila le persone che hanno sottoscritto l’impegno a sostenere un’esperienza di occupazione che non ha solo sottratto il Valle all’incognita della gestione dei privati (com’è accaduto invece al Duse di Bologna affidato dal Comune ad una società per quattro anni, a seguito della soppressione dell’Ente Teatrale Italiano), ma ha trovato la forza di immaginare un nuovo modello di gestione.
A tratti, e a lampi, ma in maniera sempre più chiara, l’occupazione del Valle è diventata un esperimento di «diritto vivente» che ha saputo affermare la necessità di gestire un «bene comune» secondo le regole della trasparenza, della turnazione della direzione artistica, della cogestione tra maestranze, artisti e pubblico e propone un centro per la drammaturgia contemporanea unico in Italia (così recita lo statuto scritto insieme a Ugo Mattei e a Stefano Rodotà, che interverrà nel pomeriggio).
Per gli artisti, come per tutti i lavoratori della conoscenza, che oggi prenderanno la parola, il Valle ha un valore supplementare. Nel suo spazio si sta plasmando il profilo, e i contenuti, di una nuova soggettività, quella del lavoro indipendente, intermittente e autonomo. È un momento pressocché unico in un paese in cui di solito la politica viene confinata all’indignazione contro il malaffare al governo, dove si rimandano le «vere» decisioni al prossimo governo (tecnico) e si bada a garantire gli interessi corporativi delle professioni o del lavoro dipendente. Al Valle, invece, si vuole creare un modello di autogoverno e un nuovo sistema mutualistico incentrati sulla continuità di reddito, sul diritto alla maternità e su una previdenza equa per un terzo dei lavoratori attivi (oltre 6 milioni) in Italia che i sindacati, la sinistra e la «classe dirigente» ignorano, o perseguitano, da trent’anni.

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INTERMITTENTI DELLO SPETTACOLO
La nostra rivolta culturale: riforma del Welfare, continuità di reddito, parità con i full time

 Chi come gli attori svolge un lavoro autonomo non ha gli stessi diritti degli elettricisti o degli attrezzisti che lavorano nella stessa compagnia o troupe secondo le regole di un contratto nazionale. E da oggi non avranno diritto alla disoccupazione per requisiti ridotti che di solito viene versate a chi ha lavorato 78 giorni in un anno, come i braccianti. «In parole semplici – afferma la regista Manuela Cherubini – lo Stato sostiene che noi non siamo lavoratori». Pochi sanno che questa assurda discriminazione ha una lunga storia. Nel 1935 venne promulgato un decreto regio che negava agli attori il diritto alla disoccupazione. Settantacinque anni dopo, nel 2010, una sentenza della Cassazione dove si sostiene che gli attori sono «lavoratori subordinati», ma sono esclusi dalla disoccupazione «per le loro competenze artistiche e culturali». Viene così sancita una scissione della personalità: l’attore vale solo se ha un contratto, non per ciò che ha prodotto. La pietra tombale l’ha messa una circolare dell’Inps del 5 agosto scorso che ha applicato la decisione della Corte. Grande è l’indignazione che scorre in rete dove da settimane circola una petizione che ha raccolto quasi 8 mila firme. Al teatro Valle si sono tenute già due assemblee che promettono iniziative e ricorsi contro una decisione incostituzionale. «La nostra battaglia – continua Cherubini – sta nell’affermare il nostro diritto di essere lavoratori. Ma lottare per qualche spicciolo non basta più. Bisogna riconoscere la parità dei diritti tra intermittenti e dipendenti. E per farlo c’è bisogno di una profonda riforma del Welfare».

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