Una pericolosa asimmetria tra ragion di stato e stato di diritto

SAGGI «11 settembre: attentato alle libertà ?» di Federica Resta

Dopo l’attacco alle Twin Towers i diritti rischiano di diventare privilegi accessori, da negare discrezionalmente nei confronti di alcune categorie di «nemici»

SAGGI «11 settembre: attentato alle libertà ?» di Federica Resta

Dopo l’attacco alle Twin Towers i diritti rischiano di diventare privilegi accessori, da negare discrezionalmente nei confronti di alcune categorie di «nemici»

 È una delle questioni fondamentali del diritto, nel dibattito giuridico e politico attuale, quella che Federica Resta, avvocato e funzionario del Garante per la protezione dei dati personali, ha deciso di affrontare con il saggio 11 settembre: attentato alle libertà? I diritti umani dopo le Torri gemelle (Edizioni dell’Asino 2011, pp. 272, euro 12): la tensione tra libertà e sicurezza, tra difesa della società e della sicurezza di tutti da una parte, e intangibilità di quei diritti e garanzie che il costituzionalismo moderno ha posto a fondamento dello Stato di diritto dall’altra. Quella tensione, costitutivamente precaria, in seguito agli attentati dell’11 settembre ha subito una torsione radicale, e Federica Resta cerca di tracciarne genesi ed esiti, analizzando «le profonde modifiche intervenute dal 2001 a oggi nei sistemi penali contemporanei».

L’obiettivo è ambizioso, per almeno due motivi: perché numerose sono le misure (sostanziali, processuali, penitenziarie), adottate in questi dieci anni nelle democrazie liberali in funzione antiterrorismo, in deroga ai principi fondativi del diritto penale, e perché, come ricorda Luigi Manconi nella premessa, le categorie giuridiche «sono una fondamentale chiave di lettura per svelare il mutamento dei tempi», per individuare la peculiare antropologia politica di cui sono espressione.
L’antropologia politica descritta da Federica Resta nel suo libro è preoccupante: se infatti la cultura giuridica ha sempre cercato di distinguere il nemico dal criminale, il nemico dello Stato dal semplice trasgressore della legge – l’hostis dal reus – e dunque il diritto dall’arbitrio punitivo, le misure antiterrorismo hanno condotto a una duplice e pericolosa sovrapposizione: «il nemico è ridotto a criminale, e il criminale è designato come nemico».
Questo progressivo scivolamento segnala una pericolosa inversione nella simmetria dei rapporti tra diritto e politica, una simmetria sulla quale – ricorda ancora l’autrice – si è costruita buona parte del costituzionalismo europeo, almeno a partire dall’Illuminismo.
Con l’11 settembre, invece, è finito per prevalere un rapporto asimmetrico, che potrebbe essere ricondotto alla prevalenza della «Ragion di Stato» sullo «Stato di diritto». Perché quando i mezzi vengono subordinati ai fini politici, non più limitati da strumenti giuridicamente prestabiliti e vincolati alla legge, è il paradigma del nemico a divenire criterio di regolazione del bilanciamento tra libertà e sicurezza: le leggi non tutelano più i diritti, ma ne circoscrivono l’ambito, giustificandone la sospensione, mentre i diritti diventano privilegi accessori, «da negare discrezionalmente nei confronti di alcune categorie di ‘nemici’», individuati come tali secondo l’arbitraria definizione del «sovrano». Lo dimostra concretamente la categoria dei «nemici combattenti illegali», né veri e propri avversari in guerra né criminali comuni, confinati hors la loi et l’humanité, sottratti tanto alle garanzie del processo penale quanto alle regole ordinarie della giustizia militare e del diritto umanitario previsto dalla III Convenzione di Ginevra.
È una categoria che sintetizza un intero sotto-sistema giuridico, il sistema Guantanamo, frutto dell’adozione di quel paradigma politico-criminale che è stato definito – appunto – «diritto penale del nemico», ben radicato negli Stati Uniti, meno in Europa, grazie al «ruolo svolto dagli organi di garanzia, dalle corti costituzionali o dalle giurisdizioni sovranazionali». Un paradigma comunque pericoloso, perché a partire da reati di terrorismo si estende spesso e facilmente anche a crimini diversi, di «allarme sociale», e soprattutto perché, subordinando il riconoscimento di diritti fondamentali al requisito della cittadinanza, conduce a una rinazionalizzazione dei diritti umani, contraddicendo l’universalismo, «la vera evoluzione del sistema giuridico-politico a partire dal secondo dopoguerra».
Con il suo libro, Federica Resta ci ricorda che il grado di tenuta delle democrazie si misura «sulla capacità del sistema politico e giuridico di delineare un bilanciamento – il più possibile equo – tra norme ed eccezioni, diritti individuali e difesa sociale, libertà del singolo e sicurezza della collettività». A ogni cittadino, il compito di vigilare.

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