Pink Floid. Nick Mason: “Siamo una rock band che ha saputo immaginare il futuro”

La grande band inglese pubblica una mastodontica riedizione del proprio catalogo musicale. Tutti i cd sono rimasterizzati e, soprattutto, contengono una straordinaria quantità  di inediti. Credo che la diversità  e le discussioni tra noi abbiano creato dinamiche interessanti e forse necessarie. Un rammarico? quello di aver fatto poco. Avremmo potuto fare più dischi, suonare di più dal vivo 

La grande band inglese pubblica una mastodontica riedizione del proprio catalogo musicale. Tutti i cd sono rimasterizzati e, soprattutto, contengono una straordinaria quantità  di inediti. Credo che la diversità  e le discussioni tra noi abbiano creato dinamiche interessanti e forse necessarie. Un rammarico? quello di aver fatto poco. Avremmo potuto fare più dischi, suonare di più dal vivo 

LONDRA. Parlare con Nick Mason nello studio tre di Abbey Road, è come un tuffo nella storia della musica popolare. Queste mura trasudano gigantesche memorie e Mason si guarda intorno con pacata e affettuosa malinconia: «Noi lavoravamo qui, allo studio tre, e contemporaneamente i Beatles erano allo studio due. Un pomeriggio fummo invitati a conoscerli, anche se avevamo già incontrato Paul in precedenza, stavano registrando Sgt.Pepper, Lovely Rita in particolare. Rimasi molto impressionato, a quell´epoca loro erano avanti, molto più professionali di quanto fossimo noi, che stavamo appena iniziando»
Cosa prova a ritornare in questi studi?
«Un grande legame affettivo. Ma soprattutto credo che dobbiamo avere tutti un forte senso di gratitudine, allora era il massimo, c´erano fantastici tecnici in camice bianco che rispondevano a ogni esigenza ci venisse in mente, era una splendida fattoria, con standard altissimi».
Ci parla di questo enorme progetto di rimasterizzazioni e di inediti che pubblicherete nei prossimi mesi?
«All´inizio eravamo perplessi. L´idea è stata della Emi. Ci chiedevamo: perché mai qualcuno dovrebbe comprare versioni diverse delle nostre cose? Poi abbiamo cominciato ad ascoltare quello che usciva fuori dagli archivi e ci siamo coinvolti sempre di più. Alla fine, devo dire, eravamo addirittura entusiasti. È stato incredibilmente interessante riascoltare quello che avevamo fatto prima delle versioni definitive, in particolare Dark side of the moon, per non parlare dei live».
È uscita fuori anche una versione di Wish you were here col violinista jazz Stephane Grappelli. Come andò?
«Credevamo che quella traccia fosse stata cancellata per sbaglio, e invece è venuto fuori un mix che la conteneva. Non ricordo perché alla fine non la usammo. Di sicuro avevamo interpellato sia Yehudi Menuhin che Grappelli e per un momento pensammo di usare tutti e due ma Menuhin non volle, era piuttosto nervoso all´idea di improvvisare, non era il suo modo, per Grappelli ovviamente era la cosa più facile del mondo».
C´è anche una versione diversa di The great gig in the sky…
«Oh, sì, ricordo che la prima intenzione era quella di chiamare un voce classica, tipo Cathy Berberian, poi Alan Parson suggerì Clare Torry e il suo solo di voce fu talmente bello…»
Come si è svolto il lavoro?
«I tecnici mandavano copie di quello che trovavano a me Roger e David, e noi commentavamo, criticavamo e molto di rado elogiavamo. Abbiamo evitato di discutere tra di noi, mandavamo solo i nostri commenti a quelli che lavoravano, ma devo dire che alla fine siamo tutti e tre molto soddisfatti del lavoro».
Non c´è stata neanche una riunione, una cena?
«Non per questo, se ci vediamo a cena, parliamo di tutt´altro».
D´altra parte lei è l´unico che tra i vari dissidi abbia suonato in tutti i dischi dei Pink Floyd. Come c´è riuscito?
«Perché ero il cuoco della nave, mentre i capitani litigavano sul ponte. Scherzo ovviamente, in realtà si è sempre detto delle nostre discordie. Ma io credo che sia un´energia salutare, i gruppi non sono scimmiette che vanno sempre d´accordo. È falso, pensate a Lennon e McCartney, o Jagger e Richards. Credo che la diversità, e le discussioni abbiano creato dinamiche interessanti e forse necessarie».
«Cos´è che rimpiange veramente?
«Di aver fatto poco. Avremmo potuto fare più dischi, suonare di più dal vivo. Quando entravamo in studio immaginavamo il futuro».
Dopo Live 8, si può pensare a un ritorno?
«Live 8 è stata un´esperienza bellissima. Siamo stati bene, come vecchi amici. Ma ora non ci sono piani. Solo… living hope».

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password