Venezia assediata dalle paludi è la Las Vegas del mondo postumo
Venezia assediata dalle paludi è la Las Vegas del mondo postumo
I gladiatori si scontrano sull’arena. Siamo nel 2092. Il mondo è collassato su se stesso dopo la grande onda che dai Poli l’ha travolto. C’è una cupola in vetrocemento che protegge dalle piogge acide l’area degli scontri in quella che noi conosciamo come Venezia. È Venezia, o ciò che ne resta negli anni futuri secondo Antonio Scurati: un lembo di terra strappato alla putrescenza con mura e dighe che ritagliano il cuore della città dalla palude intorno, «un bordello di lusso assediato da crimini insensati», nelle parole di uno dei protagonisti. Lo scontro tra i gladiatori è all’ultimo sangue, non prevede superstiti. Nel resto del pianeta, la fetta di umanità che sopravvive sotto il dominio dello Stato azienda cinese li guarda in mondovisione per dimenticare la fame. I facoltosi turisti che visitano Nova Venezia lo fanno per sentirsi vivi vedendo morire gli altri.
La seconda mezzanotte, nuovo romanzo di Antonio Scurati, è una distopia, una distorsione del presente che fa maturare in un futuro per nulla remoto i frutti del nostro insostenibile stile esistenziale. Come in Orwell (1984) e Huxley (Il mondo nuovo) i detentori del potere sono temibili e conculcano le libertà, ma qui l’aspetto agghiacciante è quanto si sia avvilita la condizione umana. «L’addomesticazione» delle persone — denunciata dal filosofo Peter Sloterdijk — è completata. Con la piena adesione dei nuovi schiavi. Come dire: l’abbiamo voluta. Non son tanto lontani dalla nostra realtà i megaschermi che in laguna trasmettono ovunque immagini di catastrofi e morti raccapriccianti. Ricordano il nostro vivere schiacciati sul presente della cronaca televisiva. Non uomini ma telespettatori passivi in cerca di fugaci e ripetitive emozioni. È questo che garantisce Nova Venezia con i suoi bordelli d’ogni sorta, le fumerie d’oppio e i combattimenti all’ultimo sangue che cadenzano il romanzo. «Tutto eccitante e noioso al tempo stesso», come un videogioco ossessivamente ripetuto.
L’ex Serenissima è una città chiusa su se stessa, che non concede orizzonti alla vista. Figuriamoci alla vita: se lo Stato azienda organizza l’oblio con mass media e piaceri di bassa lega, l’agire e pensare degli abitanti, condannato com’è al presente, diventa la disperazione di un mondo senza passato e senza futuro. Ogni tradizione e credo sono dimenticati, ai veneziani, ghettizzati al Castello, non è concesso riprodursi. I figli sono il futuro, una prospettiva che si apre per il domani di tutti, il passato è identità, dà un senso all’esistere e consapevolezza di sé. Patrimoni poco adatti a una schiavitù di fatto.
Tutti sono schiavi nella città assediata da acque morte, ma la schiavitù più ambita è quella dei gladiatori. Ad attrarre è il simulacro d’eroismo che è insito nel combattere: l’illusione di uno scopo in una vita desolata. Il maestro dei gladiatori e Spartaco, il più valoroso di essi, sono le due figure di spicco del romanzo. Il primo cerca di allacciare il presente al tempo andato con l’unica tradizione che ricorda: seppellire i morti. Affidandosi a quella scia di genti che s’allunga, affondando nel passato, prova a offrire al quotidiano la profondità della storia. Togliendosi il microchip che inibisce la fertilità, s’aggancia anche al domani, obbligandosi a un futuro.
Spartaco apre uno squarcio epico nella narrazione. Segue l’unico pensiero d’evasione possibile a Nova Venezia: la palude asfittica che sta oltre il muro. L’avventura di un uomo solo nell’ignoto, la lotta per la sopravvivenza (e non per l’intrattenimento) in una natura ostile, affamata, violenta riaprono, sia pur fugacemente, gli orizzonti della narrazione. Spartaco è una figura tragica: nel mondo del tempo presente ogni eroismo è destinato all’avvilimento. Ma le pagine della sua fuga son le più belle e immaginifiche del romanzo. Scurati riesce a creare un universo percettivo altro, a farci avventurare per luoghi mai detti prima.
Dentro e fuori le mura tutto cade, decade, si decompone, La seconda mezzanotte è fitto di metafore di malattia e putrescenza che contribuiscono a creare nella mente di chi legge il mondo postumo attorniato dalle paludi. La scrittura risente dall’urgenza di dire, quasi a voler trasmettere un senso d’emergenza. L’autore procede con accuratezza alla costruzione del suo universo distopico, infittendolo di particolari, affollandolo di concetti che finiscono per appesantire un po’ lo stile del racconto. Del resto, vi ricorrono tutti i temi che Scurati è andato sviluppando negli anni in ambito saggistico e narrativo. Ne risulta una prosa claustrofobica, come claustrofobico è l’universo che dipinge. Giunto al quinto romanzo, lo scrittore ci consegna una sinistra allegoria del presente che è anche uno dei romanzi italiani più cupi degli ultimi anni. Ma il suo volo fantastico e disperato è percorso da un monito che guarda al futuro: mira a incrinare il diffuso senso di impotenza che ci condanna a un’accidiosa irresponsabilità nei confronti del mondo e di noi stessi.
Il libro: Antonio Scurati, «La seconda mezzanotte», Bompiani, pp. 343, 19
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