Navi-Cie per gli immigrati

PALERMO Porto blindato e tunisini ammassati in tre traghetti sorvegliati dalla polizia

PALERMO Porto blindato e tunisini ammassati in tre traghetti sorvegliati dalla polizia

 Li chiamano centri di raccolta galleggianti, ma non sono altro che prigioni in mezzo all’acqua. E’ l’ultima trovata del governo che piuttosto che smistare gli immigrati che si trovavano a Lampedusa nei varie Cie – con il rischio che qualcuno finisca magari anche al nord – preferisce ammassarli a bordo di tre navi nel porto di Palermo in attesa di rimpatriarli in Tunisia. Sorvegliati a vista da poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa, limitati nei movimenti e costretti dormire sulle sedie. «Vengono trattati come animali», racconta un uomo che ha il cognato a bordo di uno dei traghetti. Che ieri sera, per evitare possibili contestazioni da terra, sono stati addirittura fatti allontanare dalla banchina.

Spenti i riflettori su Lampedusa, l’ultimo atto della guerriglia che per due giorni ha sconvolto l’isola si gira in un porto di Palermo blindato per l’arrivo dei tunisini. Il molo di Santa Lucia è stato requisito dal Viminale per quindici giorni, e lì sono state fatte approdare la Moby Fantasy, l’Audacia e la Moby Vincent, le tre navi trasformate in Cie. Complessivamente a bordo ci sono 700 tunisini, ognuno dei quali è sorvegliato da due poliziotti. Vietato, per gli immigrati, anche solo mettere piede sul ponte. «Viste da fuori sembrano navi vuote», dice l’avvocato Fulvio Vassallo Paleologo dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, uno dei legali che seguono gli immigrati, preoccupato per l’inconsueto stato di detenzione in cui si trovano i tunisini.
Le condizioni di vita a bordo sarebbero a dir poco pesanti. Ai tunisini sono stati sequestrati i cellulari per evitare ogni contatto con l’esterno, ma soprattutto per impedire che sappiano che verranno rimpatriati. Una preoccupazione inutile, visto che comunque quasi tutti hanno capito che non resteranno in Italia Ogni giorno, 100 di loro vengono presi e trasportarti all’aeroporto da dove vengono poi imbarcati sui voli per la Tunisia. «Di fatto si tratta di rimpatri di massa, esplicitamente vietati dall’articolo 4 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo», spiega Paleologo.
In attesa di essere rispediti nel loro paese, i tunisini restano prigionieri a bordo tenuti tutti insieme nei saloni delle navi, due bagni per 50 persone, le docce che non funzionano e costretti a dormire sulle sedie. Molti di loro porterebbero addosso ancora i segni della rivolta, ma a bordo non c’è nessuna assistenza medica. Il Viminale non permette infatti alle organizzazioni non governative o agli avvocati di salire sulle navi anche per parlare con gli immigrati.
Una situazione che preoccupa sotto molti aspetti: «Rinchiudere i migranti tunisini in una nave che è un ‘non luogo’. fuori da qualsiasi classificazione di legge e da ogni controllo giurisdizionale, significa tenerli prigionieri senza che un giudice ne abbia confermato la detenzione» accusa Filippo Miraglia, responsabile immigrazione dell’Arci. Dello stesso avviso anche Amnesty internatiornal, per la quale «siamo di fronte a un ulteriore esempio del ricorso alla detenzione con cui le autorità italiane trattano la gestione degli arrivi e dei flussi dei migranti». Protesta infine anche il sindacato di polizia Siulp, che individua nell’«assurdo, improduttivo e costoso trattenimento fino a 18 mesi nei Cie», una delle cause delle rivolte degli immigrati.
Intanto sempre ieri un’altra contestazione si è avuta a Linosa, dove un gruppo di 98 tunisini si è rifiutato di imbarcarsi su due motovedette per paura di essere rimpatriato chiedendo di poter salire sul traghetto diretto a Porto Empedocle. La protesta è andata avanti fino a sera, quando agli immigrati è stato consentito di salire sul traghetto.

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