“Se ci accadesse qualcosa, diffonderemmo una serie di documenti criptati”. “Non abbiamo la bacchetta magica ma lavoriamo per concretizzare un sogno”. “Chi non vorrebbe mettere le mani sugli archivi della Chiesa? Le gerarchie ecclesiastiche sopravviverebbero?”
“Se ci accadesse qualcosa, diffonderemmo una serie di documenti criptati”. “Non abbiamo la bacchetta magica ma lavoriamo per concretizzare un sogno”. “Chi non vorrebbe mettere le mani sugli archivi della Chiesa? Le gerarchie ecclesiastiche sopravviverebbero?”
Il testo che segue è tratto dalla prefazione al libro “Dossier WikiLeaks. Segreti italiani” di Stefania Maurizi, giornalista del settimanale “L´Espresso”
Niente sembrava poter scalfire il muro di segreti che nasconde gli affaracci di banche e multinazionali, i crimini di eserciti che uccidono senza rendere conto a nessuno, il potere di sette religiose capaci di plagiare milioni di persone.
Molti pensano a noi come al prodotto di una rivoluzione tecnologica. È vero. Senza Internet, non esisteremmo neppure. Ma l´essenza di WikiLeaks è qualcosa di profondamente connaturato nell´uomo: è il desiderio di arrivare a scoprire la verità e di obbligare chi ha il potere a risponderne, senza potersi nascondere dietro il segreto. Noi siamo convinti che non ci sia democrazia laddove ci sono archivi pieni di verità inconfessabili.
Negli ultimi cinque anni abbiamo subito attacchi micidiali. Per proteggere il nostro staff e le nostre infrastrutture, abbiamo rilasciato una serie di file criptati che sono la nostra assicurazione. Se dovesse accaderci qualcosa di veramente grave, tale da compromettere la capacità di pubblicare i documenti che abbiamo in mano, diffonderemo le password necessarie per aprire quei file. Abbiamo sentito opinionisti di destra della Fox di Rupert Murdoch invitare gli ascoltatori dal grilletto facile – che, purtroppo, in America non mancano – «a sparare a quel figlio di puttana [di Assange]», ma abbiamo anche sentito intellettuali liberal liquidarci come degli estremisti irresponsabili. Quella che ad oggi risulta non pervenuta è una forte presa di posizione da parte dei media e delle élite colte contro la dilagante segretezza in cui stanno affondando le democrazie occidentali. Secondo l´Information Security Oversight Office, che supervisiona le politiche di secretazione e desecretazione nel governo e nell´industria Usa, nel 2010 i costi del segreto di stato in America hanno raggiunto i 10,17 miliardi di dollari, una cifra che non include le spese per le agenzie di intelligence (Cia, Nsa, Nga, ecc.), che nessuno conosce perché sono riservate.
Neppure la pubblicazione di Collateral Murder è stata una sveglia per quei liberal che ci accusano di avere un´agenda irresponsabile. In quel video si vedeva un elicottero americano Apache che a Bagdad sterminava civili innocenti, tra cui due giornalisti dell´agenzia internazionale Reuters. Fin dal giorno dell´attacco, Reuters aveva cercato di ottenere una copia di quel documento, ma, nonostante tutti i mezzi e i contatti, non c´era riuscita. Non è un´esagerazione dire che, senza il coraggio della fonte che ci ha fatto filtrare quel video, sarebbe stato impossibile scoprire la verità su quella strage in tempi ragionevoli.
Oggi la nostra lista dei desideri continua a essere lunghissima. E c´è anche l´Italia. Chi non vorrebbe mettere le mani sugli archivi del Vaticano? Duemila anni di segreti di una monarchia assoluta di ottocento abitanti, che influenza le vite di un miliardo e trecento milioni di persone nel mondo. Immaginiamo di poter riversare l´intero archivio in un database elettronico ricercabile per parole chiave: le gerarchie ecclesiastiche sopravviverebbero a questo “megaleak”?
Sull´Italia, una delle prime “soffiate” che abbiamo ricevuto è stato un file audio che ricostruiva il presunto ruolo dei servizi segreti nella crisi dei rifiuti di Napoli. Era un documento che rivelava dettagli inquietanti su uno scandalo che aveva fatto il giro del mondo. Per questo nell´agosto del 2009 lo consegnammo a Stefania Maurizi de l´Espresso, che alcuni mesi prima aveva iniziato a interessarsi al nostro lavoro. Poi la collaborazione è andata avanti e anche i cablo della diplomazia americana hanno fatto emergere storie importanti. In uno dei cablogrammi, l´ambasciatore americano a Roma, Ronald Spogli, mette nero su bianco il suo giudizio sul controverso premier, Silvio Berlusconi. «Ha danneggiato la reputazione dell´Italia in Europa», scrive il diplomatico al Segretario di Stato, Hillary Clinton, «e ha dato un tono disgraziatamente comico alla reputazione del Paese in molti settori del governo americano». Eppure Washington continua a supportarlo, perché l´Italia di Berlusconi «rimane un posto eccellente per fare i nostri affari politici e militari», mentre all´estero è sempre più percepita come un Assurdistan.
Negli ultimi mesi ci siamo resi conto di avere un forte supporto anche in Italia, dove il Quarto Potere sembra essere messo molto male. Secondo la classifica della Freedom House, nel 2011 perfino la Serbia e il Benin hanno superato Roma in materia di libertà di stampa e, insieme con la Bulgaria e la Romania, l´Italia rimane l´unica nazione europea ad avere una stampa solo “parzialmente libera”.
Lavorando con Stefania Maurizi, abbiamo saputo che tra gli Anni ´60 e ´90 il paese si è ritrovato al centro di trame oscure, che hanno ordinato stragi in cui hanno perso la vita centinaia di cittadini italiani. Quaranta anni dopo, quei massacri restano avvolti nel mistero, perché i documenti segreti sono ancora off limits. Non è difficile immaginare i ricatti e gli scambi inconfessabili fioriti all´ombra di quegli archivi, che hanno seriamente minato la democrazia italiana.
Molti dei nostri sostenitori guardano a WikiLeaks come a una sorta di deus ex machina, che può far piazza pulita della segretezza che minaccia le democrazie e ingrassa i regimi. Non abbiamo la bacchetta magica. Ma lavoriamo per concretizzare un sogno. E quando si fa quello che si predica, altre persone si aggregano e supportano la lotta. Molti condividono i nostri valori e ci hanno aiutato. Il coraggio è contagioso. Anche nell´Assurdistan.
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