L’ultimo mistero di Fidel

Le voci su Fidel, dato per moribondo, agitano la leadership dell’isola. Nessuno è in grado di confermarle, ma all’Avana si registra nervosismo. Più controlli di polizia, l’accredito revocato al corrispondente del Paà­s. E la morte del ministro Rigueiro anima nuovi spettri. Anche scambiare due parole con un turista può destare sospetti. Raul Castro non ha compiuto le riforme promesse. Ha finito per scontentare tutti. Ma c’è chi aspetta il Comandante oggi ai funerali del responsabile della Difesa

Le voci su Fidel, dato per moribondo, agitano la leadership dell’isola. Nessuno è in grado di confermarle, ma all’Avana si registra nervosismo. Più controlli di polizia, l’accredito revocato al corrispondente del Paà­s. E la morte del ministro Rigueiro anima nuovi spettri. Anche scambiare due parole con un turista può destare sospetti. Raul Castro non ha compiuto le riforme promesse. Ha finito per scontentare tutti. Ma c’è chi aspetta il Comandante oggi ai funerali del responsabile della Difesa

L´Avana. Arrivano a gruppi, le mani strette ai bambini, lo sguardo fiero. Lo fanno da 10 anni. Ma oggi è un giorno speciale. E´ il giorno dell´opposizione. Un´opposizione silenziosa, ferma e decisa. La chiesa di Santa Rita, “avvocato dell´impossibile”, come recita la grande scritta posta ai piedi dell´icona religiosa, è già colma di famiglie. Giovani e anziani. Ma soprattutto donne. Tutte indossano qualcosa di bianco: il colore della tregua, della pace, del ricordo.
Di una protesta sommessa. Nessuno lo dice. Perché tutti lo sanno. Ogni domenica, in questa chiesa che si affaccia lungo la Quinta, l´Avenida più vigilata di tutta L´Avana e dell´intera Cuba, si radunano le mogli, le madri, le sorelle degli oltre mille detenuti politici. Parlano, pregano, si confessano, comprano santini, rosari e crocefissi. Si scambiano piccole informazioni, sotto lo sguardo vigile dei poliziotti in borghese che per pudore restano all´esterno, dietro le colonne, in fondo alla navata.
Il parroco, don Felipe, dedica l´omelia alla solidarietà. Con prudenza inserisce tra le sue parole frasi che ricordano un problema solo in parte affrontato (75 oppositori rilasciati nel 2003) e sempre rinviato. Ma tra i fedeli si respira un´aria di tensione. Occhiate, frasi sussurrate al vicino, segni: l´ansia per l´attesa di una svolta.
Il regime di Fidel Castro, quello nato dalla rivoluzione contro il dittatore Fulgencio Batista, il sergente che incantava con la sua oratoria e che aprì la strada ai casinò, alla mafia italo-americana, e che trasformò l´isola più vicina agli Usa in un bordello a cielo aperto, mostra crepe. In oltre tre anni di presidenza, Raul Castro Ruz non è riuscito a compiere le riforme promesse. Ha avviato una piccola iniziativa privata, ha aperto i canali delle tv mondiali, l´accesso ad Internet. Ma è stato incapace di raggirare l´assurdo blocco economico che da oltre mezzo secolo strozza la “perla” dei Caraibi. Il fratello del Lider maximo ha finito per scontentare tutti. Reduci dei barbudos, vecchi militanti comunisti, giovani che vagano sul Malecon alla ricerca di un sogno che si staglia dritto a nord, verso l´orizzonte di una bellezza struggente.
Le voci sulle condizioni di salute di Fidel, dato perfino moribondo, agitano la leadership cubana. Ma anche le cancellerie occidentali e quelle amiche. Oltre alle Borse che in tre giorni hanno fatto oscillare gli indici, il prezzo del nichel, del rame, del legno. Si tratta di voci. Nessuno è in grado di confermarle. Gli scettici le bollano come semplici speculazioni. La nipote dichiara che lo zio sta bene e si muove, che la notizia di una sala di rianimazione allestita in casa del grande comandante è una balla. Anche Hugo Chavez, afflitto da un brutto tumore, sostiene: «Ho appena ricevuto un messaggio di sostegno di Fidel. Vuole sapere tutto su di me. Persino quante volte vado al bagno».
È il gioco delle parti. La famosa blogger dissidente Yoani Sanchez è più drastica: «Noi cubani saremmo gli ultimi a saperlo». Ma anche lei, ostinata pessimista, per la prima volta coglie l´insofferenza che sale dai vicoli dell´Habana vieja. L´altra notte ha scritto un eloquente tweet: «Ci sono mille formiche che stanno erodendo il muro». Tre esponenti dell´Eta, fuggiti su un veliero verso il Venezuela, sono stati rispediti a Cuba. Ci stavano da 20 anni. Su una lettera hanno denunciato: «Non ne potevamo più. Le autorità cubane sono dei carcerieri».
Qualcosa si nota girando per le strade della capitale. La polizia è più presente del solito. Controlla, in modo insistente. Dimostra un inconsueto nervosismo. Sembra non avere più il totale controllo della situazione. Aprire delle porte dopo 52 anni di chiusura provoca folate di vento che possono diventare un uragano. Il turismo resta la prima voce di un´economia sempre in affanno. Ma il turismo significa milioni di stranieri. Che qui, su questa isola densa di cultura, musica, arte, magia, scienza, colori, oggi rappresentano un pericolo. La gente ti ferma per strada. Vuole parlare, capire, sapere. Ma scambiare due parole con uno “yuma”, come i cubani chiamano un turista, può provocare un arresto. Sicuramente il fermo, il controllo dei documenti, la richiesta di informazioni in centrale, l´invito a rompere un dialogo visto con sospetto.
Due ragazzi conosciuti sul muro del Malecon sono stati richiamati bruscamente da una coppia di poliziotti. Volevano parlare: ci chiedevano di Roma, del Colosseo, della distanza con Milano. Ovviamente del campionato italiano. Banalità. Pura curiosità. Assieme a considerazioni più profonde: sulla vita, su quello che avrebbero potuto trovare dietro l´orizzonte scuro del mare. Spezzoni di dialogo, generici scambi tra culture diverse. Ma questo diventa un reato quando si sospetta che possa essere una denuncia.
I due ragazzi hanno avuto solo il tempo di accennare ai soldi che non ci sono; alle paghe di un dollaro al giorno per 12 ore di lavoro sui cantieri edili; alla difficoltà nel sopravvivere perché la poca benzina spedita da Chavez costa un euro al litro; allo stupore e vergogna perché le ragazzine di giorno fanno le impiegate e di sera si prostituiscono. Per comprare una casa ai genitori, non per sfoggiare l´ultimo cellulare o il vestitino alla moda. Quando entri in una discoteca, gli uomini vengono perquisiti alla ricerca di armi; alle donne si fruga nella borsetta per vedere se nascondono un preservativo.
L´emissione della doppia moneta, il peso per stranieri e quello per i locali, ha solo sostituito il cambio con il dollaro: semplice misura per fronteggiare la svalutazione del biglietto verde. Con una ulteriore complicazione: la benzina si compra con il peso degli stranieri. «Le differenze degli ultimi cinque anni», sentenzia su Pùblico lo scrittore e analista cubano Leonardo Padura, «non alterano le istituzioni basilari del regime cubano-partito unico: ideologia dello Stato, persecuzione degli oppositori, controllo statale dell´economia e della società civile». Davanti al muro che traballa, Cuba se la prende anche con un giornalista come Mauricio Vincent, da 20 anni corrispondente da L´Avana per El Pais. Non gli è stato rinnovato l´accredito.
Ieri è morto il generale Julio Casas Rigueiro, ministro della Difesa, esponente di spicco della leadership cubana. A 75 anni se n´è andato uno dei tre pilastri della rivolta contro Batista. Ci sono tre giorni di lutto. Si tratta per la successione. Ma la scomparsa agita nuovi fantasmi. Oggi le sue ceneri saranno esposte sotto il monumento nella piazza della Rivoluzione. Ci sarà una grande adunata. Il presidente Raul Castro dovrebbe presenziare. Forse apparirà anche Fidel. Il miglior modo per sfatare le voci sulla sua salute. Forse non apparirà e allora, potrebbe aprirsi la porta di un vero cambiamento.

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password