«Reading the Riots», una ricerca sociale sulle rivolte inglesi

«Reading the Riots». È questo il titolo di una ricerca sulle rivolte inglesi di questa estate avviata dal quotidiano inglese «The Guardian» e dalla London School of Economics. La ricerca, finanziata dalla «Joseph Rowntree Foundation», dalla «Open Society Foundation», coordinata dallo studioso Tim Newburn e che sarà  pubblicata nei prossimi mesi, si compone di tre parti.

«Reading the Riots». È questo il titolo di una ricerca sulle rivolte inglesi di questa estate avviata dal quotidiano inglese «The Guardian» e dalla London School of Economics. La ricerca, finanziata dalla «Joseph Rowntree Foundation», dalla «Open Society Foundation», coordinata dallo studioso Tim Newburn e che sarà  pubblicata nei prossimi mesi, si compone di tre parti. La prima è composta da interviste ai partecipanti degli scontri con la polizia e ai residenti dei quartieri coinvolti nelle rivolte. La seconda, composta da un «data base» dei profili – acculturazione, lavoro, ovviamente età e provenienza «etnica» – delle oltre 2000 persone fermate dalla polizia durante gli scontri (molti di loro sono stati accusati di saccheggio, devastazione). La terza parte è un’analisi dei 2500 sms inviati nei giorni dei riots che avevano come oggetto commenti e inviti a scendere nelle strade.
Presentando il progetto di ricerca, il sito de «The Guardian» ha ricordato che inchieste analoghe sono state già compiute nel passato, anche se «Reading The Riots» si propone, a differenza del passato, di indagare le cause delle rivolte. Non quindi una fotografia, bensì il tentativo di «decrittare» un fenomeno tanto intenso e tuttavia circoscritto nel tempo.
Nei giorni successive alle rivolte, infatti, le uniche personalità politiche che hanno preso la parola hanno spesso liquidato ciò che era accaduto in molte città inglesi come «atti criminali». Poche le voci che hanno invece ricordato come molti dei quartieri coinvolti avevano tassi di disoccupazione molto più alti che in altri quartieri. Oppure che gli incidente sono avvenute in zone della città fortemente colpite dalla politiche di rigore messe in campo dalle amministrazioni cittadine o dal governo conservatore. O che alcuni delle zone londinesi stavano subendo politiche di espulsione degli abitanti a causa dei dei lavori per le Olimpiadi ospitate dal Regno Unito nel 2012. Va detto che il compito di ricordare il background sociale delle rivolte è stato spesso assolto dalle inchieste giornalistiche pubblicate nei giorni «caldi», che davano spesso la parola a gruppi, associazioni locali o gruppi politici minoritari, concordi nel ricordare l’urgenza politica di affrontare una non più rinviabile «questione sociale».
La ricerca sui riots potrebbe dunque offrire un quadro molto più analitico di quanto è accaduto e di come sono profondamente cambiati i quartieri inglesi. Mutamento che sicuramente non trovano spiegazione nella stigmatizzazione dei saccheggi, né nella descrizione di una generazione ostaggio di una logica del consumo fine a se stessa.
Nei giorni delle rivolta, ad esempio, un decano della London School of Economics, Zygmunt Bauman, ha pubblicato un commento sulle rivolte, individuando nella coazione ossessiva al consumo solo l’effetto collaterale di una trasformazione che lo studioso di origine polacca non ha avuto timore a definire antropologica. In altri termini, il consumo era solo espressione di stili di vita, relazioni sociali «figlie» di un ventennio di politiche sociali e economiche che hanno demolito il welfare state, ritenuto da Bauman uno dei punti più alti di civiltà raggiunti dal capitalismo.
È all’interno di una realtà segnata da precarietà, dismissione della presenza dello stato e di centralità del mercato che ha preso forma la mutazione antropologica a cui allude lo studioso di origine polacca. Mutazione antropologica che, ad esempio, un’altra studiosa inglese, Nina Power, che, in un commento scritto durante le rivolte, vedeva manifestarsi non tanto nei saccheggi, ma in quella assenza di futuro a cui sembrano essere condannati i giovani inglesi.

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