L’ospite grata

È MORTA EDOARDA MASI
Ha insegnato a molte generazioni la realtà  della Cina ma non voleva essere chiamata «sinologa». È stata un modello di intellettualità  politica e letteraria, di rigore e modestia. È una grave perdita per chi non si rassegna allo status quo. E per il manifesto

È MORTA EDOARDA MASI
Ha insegnato a molte generazioni la realtà  della Cina ma non voleva essere chiamata «sinologa». È stata un modello di intellettualità  politica e letteraria, di rigore e modestia. È una grave perdita per chi non si rassegna allo status quo. E per il manifesto

 L’ultima volta che siamo andati a trovare Edoarda, a giugno, con Angela Pascucci, lei era provata dalla malattia, ma lucidissima sulle questioni più spinose del presente e perfino capace di fare dell’ironia sulla sua malattia, dicendoci che quella stessa aveva colpito il vecchio Mao. Anche se questo non era di grande consolazione.

Ma quando abbiamo incontrato per la prima volta Edoarda? Studiavamo cinese, nella primavera del 68, leggemmo un saggio di Edoarda sui Quaderni Rossi e poco dopo La contestazione cinese e la raccolta di saggi di Lu Xun da lei tradotti, La falsa libertà. Fu proprio dalla lettura di questi saggi e dell’introduzione di Edoarda che cominciammo ad appassionarci allo studio del movimento del 4 maggio 1919. Fu subito un modello ineguagliabile di stile intellettuale, oltre che un ponte fondamentale per accedere alla Cina del Novecento. Nell’incontro personale con Edoarda a Pechino, nella primavera del 1976, (all’Università Beida) emerse anche la sua emozione nel rimettere piede, 19 anni dopo, nella stessa università nella quale era stata tra i primissimi studenti italiani in Cina negli anni Cinquanta. In effetti ci mettemmo subito a discutere di politica cinese contemporanea, la situazione era estremamente interessante e difficile e lei coglieva con grande sottigliezza che la posta in gioco era di natura epocale. Nel libro che scrisse un paio d’anni dopo, Per la Cina, basato sulla sua esperienza a Pechino e a Shanghai tra il ’76 e il ’77 questo era il tema chiave.
La contestazione cinese fu un’autentica rivelazione, per la profondità e la tenacia delle sue analisi sulla politica cinese di quegli anni, che invece nell’immaginario giornalistico corrente era immerso nella più fitta superstizione. Questi due libri esprimevano perfettamente i due livelli del suo impegno intellettuale nei confronti della Cina, quello politico e quello letterario, sempre intrecciati ma mai fusi insieme. La figura dello scrittore Lu Xun era stata per lei quella che incarnava la relazione, al tempo stesso strettissima e a distanza, tra questi due piani. Citava volentieri la frase di Lu Xun «La letteratura è scritta con l’inchiostro e col sangue sono scritte solo le macchie di sangue». Lu Xun è stato anche per Edoarda la fonte di ispirazione di una intellettualità politica radicale a distanza dai partiti. Tutto il suo percorso politico, fin dalla seconda metà degli anni ’50, è quello di una intellettualità radicale post-partitica. La Cina è sempre stata per lei il luogo in cui era emersa la crisi irreversibile degli stati socialisti e dei partiti comunisti. Ed era anche il luogo a cui lei guardava criticamente per capire se potevano esserci delle strade nuove di una politica di liberazione e di uguaglianza.
Sono ancora estremamente interessanti le sue analisi della metà degli anni ’60, circostanziate e documentatissime, sulla polemica cino-sovietica, in un momento in cui sulla stampa dell’allora Pci le posizioni cinesi erano presentate come pura follia. Per lei invece quella polemica era sintomatica della profonda crisi dell’intera tradizione politica rivoluzionaria, così com’era concepita negli stati socialisti e nei partiti comunisti.
La singolarità della sua posizione politica era che al tempo stesso coltivava una vasta ricerca sulla letteratura cinese classica e contemporanea, sulla quale ha lasciato opere straordinarie sia di traduzione che di interpretazione. Basti ricordare la splendida traduzione del Sogno della camera rossa, realizzata proprio negli anni 60, o le Cento trame di capolavori della letteratura cinese, certamente la più originale storia intellettuale cinese scritta in italiano, o la preziosa raccolta di saggi Storie del bosco letterario. La vastità della sua scholarship era inversamente proporzionale alla sua autentica modestia. Una modestia che era reale, non solo perché disdegnava ogni accademismo, ma ancor più perché per lei la ricerca di un’ intellettualità politica dopo i partiti comportava una costante riflessione autocritica, come ne Il libro da nascondere, che prendeva il titolo dal pensatore cinese «maledetto» Li Zhi. Era drasticamente critica nei confronti delle «anime belle», ma nei confronti di se stessa era preoccupata di non cadere nella «cattiva infinità».
Praticamente ogni nostro testo è passato al vaglio della sua lettura critica, che non lesinava incoraggiamenti, ma non risparmiava neppure le critiche più pungenti. Portiamo nel cuore la sua amicizia e lo spirito della sua vigilanza intellettuale.
* Claudia Pozzana insegna Lingua e Letteratura cinese all’università di Bologna
* Alessandro Russo insegna Sociologia all’università di Bologna

BREVE NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA

Edoarda Masi era nata nel 1927 a Roma, trascorrendo l’infanzia e l’adolescenza a Parma, vivendo da subito tra i libri (il padre dirigeva la Biblioteca Palatina). È stata docente di Letteratura cinese all’Istituto universitario orientale di Napoli. Ha vissuto a Pechino e a Shanghai, dove ha insegnato lingua italiana all’Istituto universitario di Lingue straniere. Tra le sue opere: La contestazione cinese (1968); Per la Cina (1978), Breve storia della Cina contemporanea (1979), Il libro da nascondere (1985), Ritorno a Pechino (1993), Storie del bosco letterario (2002). Ha tradotto dal cinese «Il sogno della camera rossa» di Cao Xueqin (1964, 1981, 2008), Città di gatti di Lao She (1986), i Dialoghi di Confucio (1989), Chuanqi, storie fantastiche Tang (1994). Per Quodlibet ha curato due volumi di Lu Xun, Erbe selvatiche (2003) e La falsa libertà (2006), e ha pubblicato l’indimenticabile «Cento capolavori della letteratura cinese». Ha lungamente collaborato con «il manifesto».

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