«La mia fragile Argentina»

INTERVISTA Pino Solanas racconta la lunga lavorazione di «Oro negro»
Ultimo capitolo di un’ampia ricognizione sul saccheggio del paese. «Mancano tre milioni di case e abbiamo il 15% della popolazione che vive nell’indigenza»

INTERVISTA Pino Solanas racconta la lunga lavorazione di «Oro negro»
Ultimo capitolo di un’ampia ricognizione sul saccheggio del paese. «Mancano tre milioni di case e abbiamo il 15% della popolazione che vive nell’indigenza»

 VENEZIA.L’Argentina non è solo Buenos Aires, spesso la vastità del territorio sfugge agli stessi argentini, così come ai conquistadores che pensavano che fosse terra di nessuno e sterminarono gli indios, il primo grande caso di desaparecidos della storia del paese. Pino Solanas arriva alla mostra di Venezia Giornate degli Autori, con l’ultimo dei capitoli della sua ampia ricognizione sul saccheggio del paese, Oro negro, la privatizzazione selvaggia di petrolio e gas in un paese che produceva, sperimentava e oggi compra le risorse energetiche dall’estero a carissimo prezzo e si trova con il territorio inquinato. Lui le definisce «Cronache»: nella Memoria del saqueo ha mostrato le cause del disastro economico, nella Dignidad de los nadies (era a Venezia nel 2002) parla delle vittime del neoliberismo ma anche delle vittorie, prova che le cose si possono cambiare, in Argentina latente (premio speciale della giuria all’Havana 2007) sul ruolo delle università, sulla falsa neutralità delle scienze e la privatizzazione del sapere, un’analisi della potenzialità della scienza in La proxima estacion racconta l’avventurosa storia delle ferrovie nel paese e la drammatica fase di privatizzazione avvenuta nei primi anni ’90, in Tierra sublevada (2009) parlano i minatori del nordest a cielo aperto e la lotta contro la contaminazione del territorio.

Oro impuro era il sottotitolo del film sui minatori e questo secondo capitolo Tierra sublevada Oro negro possiede tutte le caratteristiche che fanno dei suoi film poemi cavallereschi, per il ritmo, il respiro, la fiducia incrollabile nel cambiamento, l’incedere avventuroso. Qui in particolare c’è l’elemento della scoperta del territorio, gigantesche praterie percorse per migliaia di chilometri avvicinando i protagonisti di questo ulteriore saccheggio fino alle terre estreme degli indios mapuche, molto ben organizzati nella lotta contro l’inquinamento. Più seccamente la definisce «L’analisi sulla situazione della crisi di un paese». Crisi superata? «Sì, superata, in alcuni punti no. Dal punto di vista istituzionale in Argentina ci sono tante critiche da fare, la costituzione funziona, funziona il sistema repubblica, ma assistiamo a tentativi di manipolazione del parlamento, manipolazione della giustizia. C’è stata attenzione sul tema dei diritti individuali, i diritti umani, però negli ultimi quindici mesi sono morti assassinati quindici lavoratori che protestavano per la terra o per altre questioni sociali. La concentrazione della terra nelle mani di pochi si intensifica sempre più, in Argentina mancano 3 milioni di case e abbiamo il 15% della popolazione nell’indigenza, molto al di sotto della soglia di povertà e sono quelli che abitano le periferie, i suburbi, l’interno del paese, la campagna, gli indios dei pueblos. Questi sono gli ultimi. Non hanno casa, non hanno acqua corrente. La metà degli argentini non ha nessuna copertura sociale e medica, o sussidi di disoccupazione. L’Argentina dice che è un governo progressista: è vero che ha fatto molto per la causa dei diritti umani, per i desaparecidos, però non per i diritti umani di quelli che vivono oggi. I due film Oro impuro e Oro negro dovevano essere un unico film, ma siccome il materiale era tanto importante abbiamo deciso di dividerlo in due parti. Non solo fanno parte dell’analisi di un paese, ma hanno la stessa chiave linguistica. Se proietti insieme le dodici ore sull’Argentina di oggi è come dare sempre lo stesso film perché hanno lo stesso stile cinematografico, come un saggio storico politico».
L’attraversamento del paese in tutto il suo vasto territorio, la conoscenza dei problemi, il contatto diretto con la gente non sono solo un fatto estetico, ma fanno parte di un lavoro politico. E infatti ci mostra il materiale del suo movimento politico Projecto Sur, dove campeggia «Pino 2011». E dove in cinque punti è elencato il programma: per l’uguaglianza e la giustizia sociale, per la difesa dell’ambiente e il recupero delle risorse naturali, per la democratizzazione della democrazia, per la cultura basata sull’etica di solidarietà e rispetto della dignità umana, per la ricostruzione delle industrie e servizi pubblici, la integrazione autonoma del latinoamerica. Le cinque grandi cause: un progetto ambizioso. «Accompagno questo movimento dal 2001, dalla grande crisi, e ho pensato di girare un film che fosse testimonianza di tutto questo. E non solo, ma ho anche cercato di interpretare come l’Argentina era arrivata a questo punto. Così è nata questa serie. Non è che ho programmato i sei film. Ho cominciato a fare il primo, poi il secondo e così via. È un viaggio di dieci anni nel paese, di dialogo con la gente, con personaggi incredibili. Projecto Sur è una proposta anche culturale. Pensiamo che l’America del sud debba essere la strada verso un mondo diverso, un laboratorio verso una società più egualitaria, più democratica e più solidale. Questa utopia di cooperazione e non di competizione è ancora viva.»

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