L’Anp si gioca l’ultima carta

ABU MAZEN – Il presidente a nome di tutta l’Olp. I limiti di rappresentanza della leadership palestinese
Ora sono tante le trappole e i rischi per i palestinesi. E in Italia l’iniziativa all’Onu è passata «quasi» in silenzio

ABU MAZEN – Il presidente a nome di tutta l’Olp. I limiti di rappresentanza della leadership palestinese
Ora sono tante le trappole e i rischi per i palestinesi. E in Italia l’iniziativa all’Onu è passata «quasi» in silenzio

 Pochi giorni fa il presidente Abu Mazen, come capo dell’Olp (così indicavano beffardamente i sottotitoli della televisione palestinese e dei media internazionali) ha annunciato ciò che già tutti sapevano. «Andremo all’Onu per chiedere il pieno riconoscimento dello Stato di Palestina», passando quindi sia per l’Assemblea Generale che per il Consiglio di Sicurezza: nessun timore di un veto americano (anzi, alcuni sostengono: «il veto americano svelerà la vera natura dell’amministrazione Obama», della serie la svelatura di ciò che è quanto mai poco velato); due terzi del mondo sono pronti a riconoscerci; abbiamo qualche «problemino» interno (Gaza e Cisgiordania divisi politicamente e territorialmente, per non parlare della frammentazione tra palestinesi che vivono in Israele e palestinesi dei territori occupati, e tra questi due e i palestinesi rifugiati o all’estero) ma quella dell’andata all’Onu è solo l’inizio di una più ampia strategia (che il presidente si è ben guardato dallo specificare).

Checché ne dicano molti, l’andata all’Onu presenta la sua chiarezza sin dal primo momento in cui il progetto è stato reso pubblico e non necessita di istruzioni per l’uso. I negoziati che l’Anp ha alimentato abbondantemente – con tanto di piani di concessioni e «svendite» note a tutti i palestinesi e poi manifestatesi in forma cartacea nei dimenticati «Palestine Papers» – non erano più una strada percorribile, nel contesto delle rivolte arabe. Di fronte al supporto che molti palestinesi hanno mostrato nei confronti delle insurrezioni arabe, personaggi «svergognati» dai Palestine Papers – implicati in svendite dei brandelli di Palestina e in torbidi supporti alle torture degli apparati di sicurezza dell’Anp, come Saeb Erekat, capo negoziatore dell’Olp – sono risaliti in sella ed hanno ripreso le redini del destino nazionale. Non dimentichiamoci che l’Anp e alcuni membri dell’Olp si sono posizionati molto in ritardo sulle rivolte arabe, e che lo stesso Abu Mazen inizialmente aveva reiterato il suo supporto a Mubarak.
La situazione attuale, molto schematicamente, è quella, da un lato, di un’Anp che si gioca l’ultima carta prima di finire nel tritacarne delle insurrezioni e, dall’altro lato, una critica dell’andata all’Onu che pone in discussione lo stato della rappresentanza tra i palestinesi tout court. Da un lato, il presidente Abu Mazen e il suo entourage: un presidente ancora in piedi grazie ad un’auto proclamazione «di emergenza» oltre i termini costituzionali e che nel suo discorso farsesco ha esclamato, con un sorriso tanto ironico quanto esplicativo (la goffaggine del potere è anche il suo regime di verità, talvolta): «in Palestina abbiamo tutto, democrazia (senza elezioni da anni e con un Primo Ministro rappresentante di un partito che alle ultime elezioni ha collezionato poche molliche percentuali), libertà di espressione… per questo il nostro popolo non scende in piazza cantando “il popolo vuole”… cosa vuole il nostro popolo?». Dall’altro un’opposizione che, in termini di realpolitik, ha espresso come argine più intelligente alla deriva autoritaria dell’Anp lo slogan «il popolo vuole un nuovo Consiglio Nazionale», l’organo che dovrebbe eleggere un nuovo Consiglio Esecutivo dell’Olp, dopo un voto che dovrebbe coinvolgere i palestinesi di tutti le latitudini, e non solo quelli dei Territori Occupati.
Il cuore di queste due posizioni è la nozione di rappresentanza. L’Anp si arroga un diritto di rappresentanza cosmopolita dei palestinesi che neanche l’Olp le ha mai riconosciuto. Chi chiede un Olp più rappresentativo chiede che un organo che non ha mai funzionato secondo principi di rappresentanza, ma esclusivamente secondo quello dell’incarnazione di una sacrosanta lotta di liberazione sullo scenario internazionale, di diventare magicamente rappresentativo.
I palestinesi sono tra due trappole infernali, anzi tre: la trappola di un’Onu che ha già abbondantemente legiferato su diritti mai applicati, come il diritto al ritorno; la trappola illusoria che il voto, nelle attuali condizioni di frammentazione territoriale e politica palestinese sia un toccasana. Queste due trappole sono sorrette da un’altra trappola infernale: l’illusione della sovranità nazionale. Questo sistema di trappole costituisce un orizzonte politico quanto mai limitato, ma anche la limitazione dell’orizzonte politico di una costituzione e di una manifestazione di un processo di soggettivazione anti-coloniale e de-coloniale. Esso disattiva la possibilità di un pensiero e un desiderio comune, in comune. Un desiderio di comprendere cosa accomuni indistintamente tutti i palestinesi – in sostanza l’esproprio del pensarsi in comune – e di che cosa costituisca l’orizzonte politico di un comune non coloniale, anti-strategico, soprattutto se per strategia si intende un’ormai svuotata prospettiva di sovranità nazionale.
* Docente di Antropologia Politica presso l’Honors College dell’Al Quds University di Gerusalemme

0 comments

Leave a Reply

Time limit is exhausted. Please reload CAPTCHA.

Sign In

Reset Your Password