Guerriglia sull’isola dopo che un gruppo di immigrati tenta di far esplodere una bombola del gas. Il sindaco si barrica in comune. Undici contusi negli incidenti tra isolani e tunisi usciti dal Cie dopo il rogo. Poi scatta la caccia all’uomo
Guerriglia sull’isola dopo che un gruppo di immigrati tenta di far esplodere una bombola del gas. Il sindaco si barrica in comune. Undici contusi negli incidenti tra isolani e tunisi usciti dal Cie dopo il rogo. Poi scatta la caccia all’uomo
Dopo il rogo al centro di identificazione ed espulsione, gli scontri tra immigrati e polizia, la caccia all’uomo dei lampedusani, la fuga e la disperazione dei tunisini. Lampedusa ieri ha rischiato di trasformarsi in un inferno.
A scatenare il putiferio è stato un gruppo di reclusi che, dopo avere trascorso la notte nell’area del distributore di benzina nel porto vecchio dopo l’incendio che ha distrutto il centro, ha minacciato di fare esplodere tre bombole del gas, prelevate da un ristorante vicino, sotto lo sguardo atterrito della gente che assisteva affacciata ai balconi delle case. In raezione, una quarantina di lampedusani è scesa in strada: ne è nata una sassaiola. Per una decina di minuti s’è temuto il peggio. Le forze dell’ordine in tenuta antisommossa si sono posizionate in mezzo alle due fazioni per evitare il contatto fisico, ma poi la polizia ha caricato gli immigrati.
Gli agenti hanno formato un cerchio attorno ai tunisini, un centinaio di uomini che sono stati costretti a indietreggiare e ad ammassarsi proprio all’interno dell’area del distributore. Sono partite manganellate. È stato un attimo. Pressati dalla polizia, i nordafricani si sono lanciati giù da un muretto, altro circa due metri. Alcuni lampedusani a bordo di motorini e altri mezzi hanno cominciato la caccia all’immigrato. Un fuggi fuggi generale. Due operatori, uno di Sky e l’altro della Rai, sono stati aggrediti dalla gente, mentre i cronisti presenti venivano minacciati: «Andate via, non vi vogliamo. Siete complici di questo disastro». La tensione è salita alle stelle. Sei tunisini sono rimasti intrappolati nell’area del distributore, rischiando il linciaggio da parte della gente inferocita, anche contro le forze dell’ordine accusate di non essere intervenute prima. Solo dopo alcune ore, i sei tunisini, con evidenti escoriazioni al volto, sono riusciti a salire sul furgone degli operatori del Cie. In almeno due casi, la polizia ha letteralmente strappato tre maghrebini dalle mani della gente, trasformati in ronde nelle strade adiacenti al distributore, alla ricerca dei fuggiaschi. Il timore di essere presi, ha poi convinto gli immigrati a fare rientro nel Cie, dove intanto gli operai hanno cominciato la rimozione del capannone incendiato l’altroieri pomeriggio durante la rivolta dei tunisini contro i rimpatri. Il bilancio alla fine è stato di 11 feriti: tre carabinieri, un poliziotto e sette tunisini, uno dei quali è stato trasferito in eliambulanza a Palermo.
Appena si è sparsa la voce degli scontri nel porto vecchio, decine di lampedusani si sono recati davanti al municipio, proprio di fronte al campo sportivo dove circa mille immigrati avevano trascorso la notte dopo il rogo nel Cie. Tre isolani hanno tentato di aggredire il sindaco Dino de Rubeis, che si è barricato nel suo ufficio, scortato da tre agenti di polizia. Per difendersi l’amministratore ha recuperato una mazza da baseball, pronto a usarla in caso di necessità. Al sindaco è stato contestato di avere tenuto, durante questi mesi, «un atteggiamento troppo morbido» nei confronti dei migranti. A quel punto sono cominciati fitti contatti tra De Rubeis, la Prefettura di Agrigento e il Viminale che ha garantito lo svuotamento dell’isola nell’arco di 48 ore. «Sono stati – dice l’amministratore – predisposti 11 voli per trasferire nelle prossime ore tutti i tunisini». Non solo. «Maroni mi ha detto – assicura il sindaco – che Lampedusa non sarà più considerata ‘porto sicurò, in quanto priva di un centro di prima accoglienza, e dunque gli immigrati soccorsi in mare nel corso di operazioni Sar saranno trasferiti con le motovedette direttamente a Porto Empedocle o in altri scali siciliani». Intanto Lampedusa appare sempre di più un’isola militarizzata, con gli insegnanti che hanno chiuso la scuola per paura di aggressioni.
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