La Resistenza come stile di vita

Ci sono tanti fili che tengono insieme gli scritti civili di Gina Lagorio, ma il primo è quello di una moralità  netta e di una forte vigilanza critica sul presente. Ad apertura di libro (Parlavamo del futuro, a cura di Simonetta Lagorio, Melampo Editore, pp. 262, 18) si avverte il tono diretto di un discorso rivolto alla contemporaneità  ma memore di tanti incontri e di tante battaglie vinte e perse che imprimono alla scrittura una costante tensione etica.

Ci sono tanti fili che tengono insieme gli scritti civili di Gina Lagorio, ma il primo è quello di una moralità  netta e di una forte vigilanza critica sul presente. Ad apertura di libro (Parlavamo del futuro, a cura di Simonetta Lagorio, Melampo Editore, pp. 262, 18) si avverte il tono diretto di un discorso rivolto alla contemporaneità  ma memore di tanti incontri e di tante battaglie vinte e perse che imprimono alla scrittura una costante tensione etica.
La memoria è un altro filo teso. In primo luogo quella dell’esperienza partigiana, la cui eco si irradia in ogni pagina anche quando non è evocata esplicitamente. Non a caso, il volume, che raccoglie interventi giornalistici quarantennali (dal 1965 al 2005), ha il suo cuore in una sezione (la quarta di sette) intitolata appunto «Resistenza» e aperta opportunamente da una frase tratta dall’introduzione alla Malora di Fenoglio: «La Resistenza non è una leggenda e non è storia passata: è una scelta morale, che condiziona l’intera esistenza».
È la sezione da cui emerge al meglio il talento narrativo e autobiografico di Gina Lagorio con i ritratti del marito Emilio, comunista, esponente del Comitato di Liberazione Nazionale; del concittadino savonese Sandro Pertini; dell’eroico pilota Pierre, leader della lotta partigiana nelle Langhe e indimenticabile personaggio fenogliano; dell’avvocato Arnaldo Pessano, gentiluomo fin de siècle, ex combattente capace di baciamani e inchini senza paragone. Eccetera eccetera. Gli scritti di Gina Lagorio sono fitti di grandi personaggi storici ma anche di nomi secondari quando non minimi (se oggi dicono poco ai giovani Piero Gobetti e Leo Valiani, figurarsi l’operaio Remo Scappini o l’avvocato Vico Faggi), ma lo sguardo della scrittrice è sempre quello dell’ammirazione viva, sentimento che è stato il motore dell’esempio e della trasmissione di modelli e che oggi appare quasi del tutto tramontato nel passaggio da una generazione all’altra. E non si tratta solo di incontri intellettuali o letterari come le letture di Tobino, Bilenchi, Pavese, Nuto Revelli, Mario Spinella, soprattutto Fenoglio, oppure come le affinità elettive con Calamandrei, Capitini, Cederna. Si tratta anche di incontri vissuti in una lunga fedeltà di amicizie (molto bello il ricordo dell’amica Natalia Ginzburg l’indomani della sua morte): e si sa quanto abbia contato, per Gina, la vicinanza d’affetto con i poeti liguri Camillo Sbarbaro e Angelo Barile, primi lettori dei suoi racconti.
C’è una geografia umana mai abbandonata. C’è una geografia letteraria, subito riconoscibile. E c’è la geografia fisica dei propri luoghi, continuamente evocata anche quando rimasta lontana dagli occhi: la provincia delle Langhe, dove Gina Lagorio è nata, e quella della Liguria, dove è cresciuta per tanti anni, ma anche Milano, dove la scrittrice ha vissuto fino alla fine: il ricordo della città di Tessa e Gadda si sovrappone alla metropoli contemporanea del «calcio sesso carriera borsa» e di tanta corruzione mai venuta meno neanche con la Seconda Repubblica.
Il risentimento è forte, nella voce di Gina Lagorio, privo di cedimenti nostalgici o di lamentazioni retoriche: alla famosa frase di Carlo Levi, «le parole sono pietre», si aggiunge l’appello a usarle, quelle pietre di verità: mai tacere e sempre schierarsi, senza timori. Combattere per la Resistenza, poi per i diritti delle donne, poi contro il terrorismo, contro le guerre chirurgiche, contro la devastazione del paesaggio, contro il ritorno delle destre (ex) fasciste e contro il berlusconismo. Provare a rilanciare l’idea di una politica vera paladina della giustizia e della libertà. Nel segno di questo binomio particolarmente evocativo, giustizia e libertà, Gina Lagorio si ritroverà nel Palazzo, spesso stranita e stupita: per due anni, tra il 1987 e l’89, Alice nel Paese dei deputati, eletta come indipendente nelle liste del Pci. «Spero di non perdermici, il che significa per me non rimetterci l’anima».

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