Interni di vita sovietica tra fiaba e tragedia

Da Mondadori «Il tempo delle donne» di Elena Cizhova. In una Leningrado segnata dalle ferite dell’assedio la forzata promiscuità  delle «kommunalki» genera un’atmosfera di tensione e sospetto

Da Mondadori «Il tempo delle donne» di Elena Cizhova. In una Leningrado segnata dalle ferite dell’assedio la forzata promiscuità  delle «kommunalki» genera un’atmosfera di tensione e sospetto

Il romanzo di Elena Cizhova Il tempo delle donne ci riporta nelle atmosfere della Russia sovietica dei primi decenni post-bellici, in una Leningrado ancora fortemente segnata dalle terribili ferite dell’assedio e della guerra e, al tempo stesso, oppressa spiritualmente dal ricordo dell’epoca staliniana. È la Leningrado delle fabbriche obsolete, dei negozi semivuoti, delle grigie strade nei lunghi oscuri giorni invernali, nei cortili percorsi dagli spettrali chiarori delle notti bianche, è la Leningrado degli appartamenti di coabitazione, le kommunalki, della vita promiscua e del sospetto.
La narrazione si sviluppa in un complesso intreccio di voci e su diversi piani temporali. C’è la giovane operaia Antonina, che rimane incinta dopo un’avventura con un rappresentante di quella jeunesse dorée vicina al potere e segnata, negli anni del disgelo chrusceviano, da una marcata esterofilia (si veda il riferimento al ritratto di Hemingway); c’è sua figlia, la piccola Sjuzanna – Sof’ja per le tre vecchie che la adotteranno preferendo per il battesimo un nome presente nel calendario ortodosso – che rimane muta fino all’età di sette anni; e ci sono appunto le tre «ziette», Ariadna, Glikerija, Evdokija, anziane rappresentanti di un mondo apparentemente in estinzione, pieno del buon senso e dei buoni sentimenti della tradizione, ma anche delle ripicche e dell’aspro carattere di una Russia antica e genuina, tra credenze e usi secolari, tra cataclismi e avvenimenti di agghiacciante durezza, accompagnati dal racconto lieve della fiaba. Le tre vecchiette si sostituiscono alla scuola e insegnano alla piccola il francese, la portano a teatro a vedere La bella addormentata, mentre nel loro laborioso dialogare (ricamano e cuciono) si riflette un intero universo.
La scrittura della Cizhova è attenta al dettaglio, all’intonazione. Sa rendere la narrazione-ricordo nella voce delle diverse protagoniste, alternandole con equilibrio (d’altra parte il tono generale nasce dai ricordi uditi dalla viva voce della nonna e della madre). Nel lento e ineludibile trascorrere del tempo, mentre Antonina si ammala gravemente e muore, e la piccola Sof’ja cresce trasformandosi in una valente artista, sono le tre vecchie, dolci e burbere parche, a scandire i tempi del racconto, nel quale si fondono registri diversi, quello della registrazione documentaria dei fatti, quello della memoria, quello delle favole, di cui riaffiorano brani nel testo, ora narrate dalle vecchie, ora nei rivoli della coscienza di Antonina, ora ripercorse nell’eco della voce interiore della piccola muta.
Con questo libro Elena Cizhova ha vinto nel 2009 il prestigioso premio Russkij Booker, dopo essersi già messa in evidenza per altri libri di indubbio valore letterario, Lavra del 2002 e Polukrovka , ma sui quali la critica ha fornito giudizi non univoci. Autrice riservata, schiva e lontana dal clamore degli scandali letterari, predilige una narratività fortemente radicata nella tradizione nazionale, ma senza eccessi, senza clamori, quasi volesse attribuire al «tempo delle donne» una dimensione non solo esistenziale e sociale, ma anche artistica del tutto specifica.
Molto discende dalla linea tradizionale della prosa pietroburghese, quasi percorsa da una sorta di delicato realismo fiabesco con intromissioni ora del bytovismo realistico, ora di proiezioni del lirismo intimista della tradizione poetico-femminile russa. Ma qualcuno, in relazione all’opera della Cizhova, ha voluto ricordare anche la prosa tardo-sovietica, con riferimenti, ad esempio, a Jurij Trifonov e Irina Grekova.
A colpire, comunque, è la memoria linguistica del testo, la capacità di riprodurre nei colori e negli odori la quotidianità della vita sovietica degli anni Sessanta nelle fumose cucine della kommunalka (si veda il racconto di come conservare la farina per anni grazie a dei chiodi prima resi incandescenti e poi raffreddati), la ricostruzione dettagliata degli ambienti e dei comportamenti con distaccato realismo, ma partecipazione e nostalgia per i genuini sentimenti d’un tempo. Si va dall’acquisto del primo televisore, una sorta di nuova dimensione nella ricezione della vita e della narrazione, alle insensate riunioni di comitati e commissioni politico-sindacali, mentre il filo del racconto introduce nuovi personaggi e situazioni con numerosi flashback nella memoria delle donne protagoniste, dall’apparizione di Nikolaj, innamorato di Antonina e futuro patrigno di Sjuzanna, fino al fatidico manifestarsi della malattia e al concitato e avvincente epilogo.
Scrittura non sempre scorrevole, quella della Cizhova, ricca com’è di metafore (ermetica, prima, e poi densa come un fiume in piena di emozioni) e a tratti lievemente contorta – tanto che si sono levate voci di critica più o meno velata, come peraltro avviene spesso dopo l’attribuzione inattesa di un premio letterario prestigioso. Scrittura, comunque, fortemente letteraria (non a caso la Cizhova è direttrice del Pen-club pietroburghese e redattrice dell’edizione russa di Lettre Internationale, e di recente si è prodigata nella diffusione in Russia dell’opera di Orhan Pamuk), intessuta di citazioni e, come si è detto, di vivaci riferimenti ai testi della tradizione popolare. E difatti il romanzo si chiude con un lungo frammento del Libro della colomba, esempio di verso spirituale popolare di respiro cosmogonico.
In conclusione, Il tempo delle donne è un libro che si legge con il piacere della scoperta, una scoperta che, a detta dell’autrice, è destinata in primis al lettore russo oggi così disabituato a una riflessione storico-sociale e psicologica sulla difficile storia del proprio paese. È un libro scritto per chi non c’è più, perché quelle voci oramai spente possano ancora d’improvviso risuonare nella coscienza del lettore di oggi.

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PROFILO
Voci per reagire a un lungo silenzio

 Tipica esponente dell’intelligentsja pietroburghese, Elena Chizhova (nata a Leningrado nel 1957, laureata in economia, a lungo docente di lingua inglese) si è fatta conoscere da un pubblico internazionale con «Il tempo delle donne» (traduzione di Denise Silvestri, Mondadori, pp. 225,€ euro 19,50), vincitore nel 2009 del Booker Prize russo. E per presentare questo romanzo denso e dolente, a dispetto del tono fiabesco, la scrittrice è intervenuta all’ultima Fiera del libro di Torino, dove la Russia era il paese ospite. Precisando, tra l’altro, che la scelta di far ruotare l’azione intorno a una bambina muta non va letta come la metafora di un paese incapace di parlare, ma rappresenta un espediente narrativo: «Nell’Urss di quegli anni le tre “ziette” di Sof’ja non avrebbero potuto raccontare le loro esperienze ed esprimere il proprio punto di vista, se non avessero avuto di fronte qualcuno incapace di parlare». Un silenzio, tuttavia, che ancora resiste: «Uno dei problemi del mio paese, forse il più grave, è proprio quello di non riuscire a sviscerare a fondo il proprio passato. Il mio libro è anche un tentativo di reagire a questa situazione». m. t. c.

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