Il territorio inesplorato dell’egemonia

Il populismo è la rappresentazione politica più efficace della crisi della democrazia rappresentativa accentuata dal neoliberismo e dalla sua sorella gemella, la globalizzazione.

Il populismo è la rappresentazione politica più efficace della crisi della democrazia rappresentativa accentuata dal neoliberismo e dalla sua sorella gemella, la globalizzazione. Al suo interno possono coesistere una critica romantica al capitalismo, l’ostilità di classe dei lavoratori verso i manager, il rimpianto dello status perduto da parte del ceto medio e i sentimenti di rivalsa di quegli imprenditori penalizzati dalla globalizzazione. Ma anche una difesa della civiltà occidentale dall’invasione di migranti, musulmani e latinos. Una tesi, questa, largamente condivisa da filosofi neomarxisti, ma anche di studiosi e opinion leader che vedono la globalizzazione come un fenomeno progressivo che può essere regolamentato, ma non contrastato. Un’interpretazione, questa, che ha saputo confrontarsi con il populismo come fenomeno eterogeneo, ma non transitorio, ne residuale di forme di vita messe ai margini della vita sociale dalla globalizzazione. Insomma, una forma della politica destinata ad occupare un posto di rilievo nel panorama contemporaneo. C’è da domandarsi, tuttavia, se la crisi del neoliberismo non stia dissolvendo come neve al sole il suo ordine del discorso. La prima risposta è che il populismo è figlio, espressione, meglio risposta all’esaurirsi della spinta propulsiva della democrazia rappresentativa. La crisi sta dunque rafforzando la critica che il populismo rivolge alle forze politiche «tradizionali». I recenti successi elettorali di formazioni populiste nel Nord Europa e l’ascesa del Tea Party dimostrano che l’onda lunga populista non si è certo arrestata. Così come la crisi economica può rinsaldare quel milieu tra working class e ceto medio impoverito nella comune ostilità verso i banchieri e il grande capitale, ritenuti i maggiori responsabili dell’impoverimento che caratterizza la loro condizione attuale. Da questo punto di vista il populismo ha tutte le carte in regola per sviluppare parole d’ordine «universali» che riescano a rispecchiare realtà sociali e culture politiche «particolari», come suggerisce l’elaborazione del filosofo di origine argentina Ernesto Laclau nel suo saggio «La ragione populista». Al di là, tuttavia, delle fortune o sfortune elettorali delle formazioni populiste – per la Lega Nord gli ultimi risultati elettorali alle amministrative sono più di un campanello d’allarme sulla sua capacità di intercettare i mal di pancia del suo elettorato -, il nodo da sciogliere è proprio l’individuazione di una via d’uscita dalla crisi della democrazia rappresentativa e del neoliberismo che ripristini uno status quo ante. Serve cioè conquistare ed esercitare un’egemonia culturale attorno proprio ai temi che hanno fatto le fortune del populismo contemporaneo. Da qui la necessità di un confronta con l’avvenuta trasformazione del mercato del lavoro incardinata sulla precarietà e sulla figura dell’«individuo proprietario». Il populismo invoca la comunità dei produttori, il pensiero critico dovrebbe favorire processi di autorganizzazione tesa ad allargare i diritti sociali di cittadinanza, tra cui il reddito di cittadinanza, che non penalizzi le diverse figure del lavoro vivo. Il populismo punta a una semplificazione del processo decisionale – la retorica contro la casta nasconde spesso l’ostilità verso la democrazia sans phrase -; il pensiero critico propone processi decisionali decentrati e incardinati sui movimenti sociali. Il populismo punta l’indice verso i banchieri; il pensiero critico svolge una critica alla pretesa della finanza di fungere da dispositivo di governo dello sviluppo capitalistico. Il populismo difende la società occidentale; il pensiero critico rivendica un «comune» che valorizza forme di vita eterogenee dove la libertà e l’eguaglianza siano le stelle polari delle relazioni sociali. In altri termini, il pensiero critico lavora alla critica dell’ideologia dominante che ha nel populismo una sua variante.

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Analisi e critica della «ragione populista»

 Il testo che offre una lettura provocatoria del populismo è sicuramente «La ragione populista» di Ernesto Laclau (Laterza). Contrariamente all’opinione dominante, il filosofo di origine argentina sostiene che il populismo è figlio del pensiero politico contemporaneo. Laclau, infatti, non opera una ricostruzione storica del populismo, ma punta ad individuare nelle esperienze statunitense, latinoamericana e europea gli elementi politici comuni. Il più importante è che il populismo talvolta riesce a sviluppare una sintesi delle condizioni sociali e le «culture particolari» attraverso l’individuazione di un universale che le racchiude. Ma questa è caratteristica della tradizione politica moderna. Da qui la provocatoria convinzione che il populismo possa essere recuperato a una politica della trasformazione sociale critica rispetto il capitalismo.

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