Il lessico della continuità 

La democrazia al pari di forme politiche autoritarie è divenuta un potente strumento usato per legittimare una realtà  mondiale fondata sull’economia del rentier. Un percorso di lettura a partire da un saggio dedicato alla coppia concettuale di moderazione e rivoluzione

 

La democrazia al pari di forme politiche autoritarie è divenuta un potente strumento usato per legittimare una realtà  mondiale fondata sull’economia del rentier. Un percorso di lettura a partire da un saggio dedicato alla coppia concettuale di moderazione e rivoluzione

  Moderatismo e rivoluzione di Andrea Micocci (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, euro 48,00, pp. 472) propone al lettore una problematizzazione teorica e politica della contemporaneità particolarmente spiazzante fino al punto di risultare provocatoria e in più di un’occasione quasi importuna.

Micocci infatti sceglie un punto di vista così radicale in termini teorici, che le conseguenze politiche dirette al livello della quotidianità delle scelte politiche risulteranno per la maggior parte dei lettori inaccettabili o indesiderabili.
Le posizioni di Micocci derivano tuttavia da un confronto ormai decennale con gli sviluppi accademici della scienza economica, della filosofia e delle scienze sociali in generale, e non semplicemente nell’adesione a una scelta valoriale. Moderatismo e rivoluzione risulta appunto dall’applicazione sistematica di una serie di categorie teoriche elaborate in altri due volumi di più specifico taglio accademico e teoretico, Anti-Hegelian Reading of Economic Theory (Edwin Mellen Press) e The Metaphysics of Capitalism (Lexington Books), con i quali il progetto teorico dell’autore si è guadagnato un suo peculiare spazio nel campo del marxismo antidialettico o postdialettico che dir si voglia.
Tra evento e catastrofe
Certamente lontano dal rational choice Marxism di ascendenze empiristiche e analitiche, l’impianto di Micocci condivide alcuni aspetti dell’impostazione di John Rosenthal, rispetto alla quale si distingue per tre principali tratti: l’estensione dell’analisi critica dell’influsso della dialettica alla scienza economica e sociale mainstream e a come, proprio perché ancora prigioniero della dialettica, il marxismo rischi di riassorbirsi nei medesimi quadri; l’opzione filosofico-ontologica di fondo per un materialismo naturalistico come sostrato di un pensiero autenticamente rivoluzionario; l’inizio di un’elaborazione critica della teoria postmarxista e postdialettica della liberazione umana appoggiata a questo rinnovato materialismo naturalistico, appoggiata alle nozioni di rottura, evento, catastrofe e discontinuità.
Il problema della dialettica, in realtà, non è solo un tema specifico dell’analisi della struttura metodologica del marxismo, ma assume in Micocci lo spessore di una questione metafisica, e precisamente della natura della metafisica del capitalismo. L’argomentazione di Micocci si fonda su una constatazione incontestabile in termini sociologici ed economici: il determinarsi della rivoluzione capitalistica è una faible convenue, una semplificazione storiografica che permette di etichettare nominalmente un fenomeno complesso, ma non è un fatto storico né compiuto né univoco. A tacere della persistenza strutturale di tratti del dominio di ceti precapitalistici anche nel contesto della società industriale e della correlativa persistenza di strutture di pensiero e di valore premoderne, Micocci mira a evidenziare, con implicazione teorica più impegnativa, che si deve prendere sul serio l’individualismo libertario capitalistico e assimilarlo a una delle grandi istanze di liberazione e mutazione antropologica materialistica e naturalistica come l’individualismo anarchico e il marxismo. Con questi ultimi, paradossalmente, l’individualismo capitalistico condivide in fondo il fallimento e il destino di una trasformazione coatta in un ibrido lontanissimo dal proprio idealtipo e dalle proprie originarie aspirazioni sociali e morali.
I parassiti del controllo
Storicamente l’avvento deflagrante dell’affermazione libertaria dell’individualità è sempre stato impedito da meccanismi teorici, morali, giuridici e politici difensivi che riflettono, in ultima analisi, uno strato sincronico della mentalità e della comprensione del mondo che nel volume maggiore e più organico di Micocci assume appunto il nome di «metafisica». La metafisica è per essenza dialettica, cioè mira alla mediazione, alla comprensione del nuovo nel quadro della continuità e dello sviluppo; l’insorgenza catastrofica della diversità e dell’incalcolabilità viene negata dall’affermazione originaria della persistenza del continuum tra tesi e momenti oppositivi, tra vecchio e nuovo. A livello sociale ciò si riflette nell’affermazione del primato della dimensione collettiva e del sistema dei princìpi etici, nei quali l’azione della singolarità individuale viene a mediarsi: apparentemente in relazione all’adozione di standard universalistici, in realtà per la necessità di dotare di un sistema di controllo la forza dirompente del mercato capitalistico e trovare un contesto elevato di giustificazione ai processi con cui le élites dominanti il mercato mondiale hanno trasformato lo stato moderno e le istituzioni su esso concrescenti in meccanismi facilitatori dell’economia di rentiers in cui il capitalismo si è trasformato.
Dal complessivo sviluppo del volume di Micocci si evince come l’attuale orientamento del capitalismo sottenda un’antropologia in cui l’individualismo, invece di declinarsi in forma espressive e attivistiche, si trasforma in puro egoismo acquisitivo, condizionato per di più dalle tendenze sempre più omologanti e mimetiche del mercato; ciò a riprova di come l’espressione della ricerca di liberazione individuale, materialistica naturalistica ed espressiva, sia stata anche nel caso dell’individualismo libertario capitalistico mediata dialetticamente dentro la necessità di ribadire il valore e l’efficacia delle forze gregarizzanti e spersonalizzanti del meccanismo sociale. A questo livello agisce prevalentemente il dispositivo etico, l’ambiguità sostanziale del discorso moralistico che colpevolizza l’esperienza individuale e la costringe a soggiacere alla persistenza degli aggregati. A questa tendenza generale Micocci associa l’etichetta, richiamata nel titolo, di moderatismo.
La riflessione di Andrea Micocci investe quindi una questione essenziale per la comprensione della modernità: se l’orientamento etico delle comunità e dei singoli, mediandosi nelle scelte politiche, possa fare la differenza quanto al significato dei processi sociali ed economici della contemporaneità. Si tratta dunque di stabilire se questi processi siano intrinsecamente alienanti e spersonalizzanti, o se siano compatibili con un percorso di emancipazione e di umanizzazione della comunità storica della specie.
La tesi di Micocci si pone però a un livello metafisico, come già ricordato sopra e come specificato dalla sua precedente pubblicistica e saggistica economico-filosofica. Micocci si è occupato tanto di un’analisi di dettaglio della scienza economica mainstream, quanto della ricostruzione dei suoi presupposti filosofici e teoretici più generali. Il modello teorico elaborato dall’autore rimane ab ovo marxista, come risulta riconoscibile dal presupposto generale della cardinalità della struttura economica e quindi della scienza che la descrive a livello micro e macroprocessuale; affinamento interessante è il suggerimento di una nuova posizione metafisica della scienza economica, come scienza dell’ontologia del processo sociale reale, e della persistenza all’interno di questa scienza di un presupposto idealistico e dialettico.
Le infinite transizioni
Non stupirà nessun lettore addentro alle questioni teoriche del marxismo scoprire che Micocci potrebbe essere arruolato, estrinsecamente, nella nutrita pur se minoritaria schiera dei marxisti antidialettici italiani (Della Volpe e Timpanaro, giusto per fare qualche nome); più significativo è notare che tra i suoi ascendenti teorici c’è Réné Thom e una forte tendenza discontinuistica di filosofia della storia senza la quale, secondo Micocci, il concetto stesso di rivoluzione vanifica. L’antitesi moderatismo/rivoluzione, infatti, è sovrapponibile a quelle continuità/discontinuità, dialettica/materialismo, asservimento/emancipazione, e (più sorprendentemente) antico regime/capitalismo.
Micocci infatti rifiuta con dovizia di considerazioni l’idea dell’effettività della transizione dall’antico regime al capitalismo sostenendo che in realtà il passaggio non è mai avvenuto o che è perennemente in fieri senza essersi mai compiuto – tesi questa anch’essa non nuova a molto sapere sociale contemporaneo, persino rileggibile come accettazione dell’obiettività della transizione permanente a una postmodernità che riassume ibridamente gli arcaismi della Ungleichzeitigkeit (il tema del «noncontemporaneo» affrontato dal filosofo tedesco Ernst Bloch) senza poter più pensare di riassorbirli e sintetizzarli in una civilizzazione universale e progressiva. L’autore però va oltre osservando come a livello di comprensione scientifica del tempo moderno la scienza economica dominante presupponga il consolidarsi nel processo sociale reale di quel meccanismo capitalistico che in realtà invece non sussiste.
La proiezione metafisica dell’economia consisterebbe quindi nell’idealizzazione del modello di mercato e di soggetto economico, con l’interpretazione del processo socioeconomico effettivo come deviazione de facto dal modello. Lo schema platonico sotteso è la prima ragione dell’imputazione di metafisica dialettica che Micocci esplicita a carico dell’economia accademica. La seconda ragione è che in realtà il meccanismo di regole giuridiche e di suasion morale e politica che ha circondato fin dal principio la supposta rivoluzione capitalistica, mentre non ha minimamente impedito lo sviluppo della disumanità reale dell’economia contemporanea, ha tuttavia depotenziato e inibito il vero importo rivoluzionario del capitalismo come espressione dell’individualismo libertario contemporaneo (tesi che recuperano spunti del filosofo Herrbert Spencer e dell’economista Joseph Schumpeter). La dialettica di cui l’economia politica è accusata diventa ora la sua tendenza permanente, che si esplicita in direttive politiche e morali, tecnocratiche e legislative, a mediare le esigenze del passato e della conservazione con la dirompente novità del capitalismo dando luogo a quello che di fatto è sempre più un capitalismo «diretto» tanto contraddittorio quanto nelle condizioni crescenti di finanziarizzazione e movimentazione istantanea del denaro il fattore tempo, necessario alle decisioni effettive di governance, gioca contro gli organismi di controllo e direzione.
Provocazioni politiche
Da questi assunti seguono affermazioni taglienti, al limite dell’assoluta scorrettezza quanto ad etichetta politico-morale, come la sussunzione a fascismo dell’intero meccanismo politico liberal-democratico e la denuncia del frequente appello alla moralizzazione e agli alti standard etici in campo politico come forma di ipocrisia conservatrice e anzi sintomo principale della fascistizzazione strisciante della vita sociale e politica.
In pratica, a fronte dell’incapacità reale del sistema politico di svolgere governance funzionale del sistema tardo capitalistico finanziarizzato, si sviluppa sempre più la capacità effettiva del sistema della cultura di massa e del consumo di orientare alla gregarizzazione e all’omologazione i soggetti, di incanalare dentro prospettive valoriali limitate le loro aspirazioni, di prospettare modelli di sociazione standardizzati e risposte emotive banali e prevedibili.
L’impressione che se ne ricava è la stessa che fanno le note affermazioni heideggeriane sull’omogeneità essenziale tra agricoltura meccanizzata e campi di sterminio. L’altezza teoretica del punto di vista forse non rende giustizia alla realtà quotidiana delle scelte concrete di ciascuno di noi, e non c’è dubbio che dal punto di vista morale e soggettivo partecipare alla vita politica della liberaldemocrazia o essere una camicia nera sono esperienze alternative dotate di significati incompatibili. In termini più alti, Micocci suggerisce (senza alcun timore e anzi ad alta voce…!), sono modalità diverse della partecipazione ad un medesimo e controverso processo storico che deve essere esaurito e superato con una discontinuità radicale perché alcune promesse in esso formulate, come libertà e autoespressione, possano veramente venire mantenute.

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