Il Cnt: «Ora uccidere Muammar Gheddafi è un nostro diritto»

LIBIA.  Dov’è Muammar Gheddafi? Un giorno sarebbe a Tripoli, l’altro a Sirte, l’altro ancora a Bani Walid, o magari nello Zimbabwe. Comunque in fuga, braccato dai ribelli e perseguito dalla giustizia internazionale.

LIBIA.  Dov’è Muammar Gheddafi? Un giorno sarebbe a Tripoli, l’altro a Sirte, l’altro ancora a Bani Walid, o magari nello Zimbabwe. Comunque in fuga, braccato dai ribelli e perseguito dalla giustizia internazionale. E di sicuro assente oggi dalle celebrazioni per i 42 anni della Rivoluzione verde con cui andò al potere il 1 settembre del 1969. La guerra mediatica include notizie che si rincorrono sulla sorte del Colonnello e dei suoi figli. «Gheddafi è qui, è nostro diritto ucciderlo», ha affermato ieri Ahmad Darrad, l’uomo che dovrebbe gestire il ministero degli interni del Consiglio nazionale di transizione (Cnt) una volta formato un nuovo governo in Libia. Gheddafi è in Libia. Un’informazione «sicura all’80%», secondo gli insorti, che ieri hanno anche annunciato di aver arrestato il ministro degli esteri di Gheddafi e un altro personaggio di spicco: «Continueremo a interrogarlo, sperando che ci porti al raìs», hanno detto. E sui metodi usati dal Cnt esprime preoccupazione la delegazione di Amnesty international che ha visto «uomini trascinati fuori dall’ospedale per essere interrogati dai ribelli, pestaggi a presunti lealisti di Gheddafi, minacce».
«Mi arrenderei a un governo vero, non a questi ragazzi che hanno già ucciso migliaia di persone e distrutto il paese e che non vogliono negoziare», ha fatto sapere Saadi Gheddafi, terzo degli otto figli del raìs, smentendo i ribelli. E Moussa Ibrahim, portavoce del governo libico, hanno respinto l’ultimatum del Cnt, che ha chiesto una resa entro sabato per evitare l’offensiva finale su Sirte.
«La nuova Libia sarà un paese amico, la democrazia è un contagio positivo, quando la gente la scopre non l’abbandona più», ha dichiarato il ministro degli Esteri Franco Frattini, annunciando per oggi la riapertura dell’ambasciata italiana a Tripoli. La sede diplomatica aveva chiuso i battenti il 18 marzo scorso, quando l’Onu aveva deciso l’intervento militare internazionale. In questo periodo è stata la Turchia a curare gli interessi italiani. Pensando alla Libia post-Gheddafi, L’Italia ha già sbloccato 500 milioni di euro a favore di Tripoli. «Ci siamo posti l’obiettivo, forse un po’ ambizioso, di ripartire per il 15 ottobre», ha affermato l’amministratore delegato dell’Eni, Paolo Scaroni, indicando i tempi di riattivazione del Greenstream, il gasdotto che collega la Libia alla Sicilia. «Ho fretta – ha spiegato – perché affrontare l’inverno con una delle nostre fonti di approvvigionamento ferma mi preoccupa».
È «attualmente in corso» il lavoro del Consiglio Ue per la revoca delle sanzioni contro la Libia, ha assicurato la portavoce dell’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton. Si tratterebbe in particolare di sbloccare gli asset di 6 porti e di svariate società petrolifiere. L’ok potrebbe arrivare per la riunione informale dei ministri degli esteri Ue, domani e dopodomani a Sopot, in Polonia.
In occasione della conferenza internazionale sulla Libia che si apre oggi a Parigi, le Nazioni unite s’interrogano sul ruolo che giocheranno nel post-Gheddafi. L’inviato speciale dell’Onu per la ricostruzione della Libia, Ian Martin, è parso deluso che il Cnt (che intanto litiga per la gestione dei fondi sovrani) abbia respinto l’ipotesi di stanziare nel paese una forza militare internazionale. Bisogna capirli, ha detto «nel paese non c’è memoria di elezioni, non c’è storia di partiti politici, non c’è società civile indipendente, i media indipendenti stanno appena cominciando a emergere nell’est. È una grande sfida», ed è comunque «chiaro che il Cnt spera che l’Onu possa svolgere un ruolo importante in questo processo». Se non proprio con i 400 osservatori (militari e poliziotti), almeno nella formazione dei futuri poliziotti libici: sul modello iracheno, ma facendo tesoro degli errori commessi lì nell’epurare troppo frettolosamente i sostenitori di Saddam Hussein nella polizia e nell’amministrazione.
Anche la Cina, grande nemico da battere nello scacchiere libico, ha in programma di inviare un osservatore alla conferenza di Parigi: «per promuovere un trasferimento pacifico dei poteri in Libia» e per svolgere, all’occorrenza, un ruolo positivo nella ricostruzione».

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