I cittadini insieme a noi scienziati fermino l’«assassinio di Stato»

 Non si può tacere di fronte all’assassinio di Stato di Troy Davis, cittadino statunitense di origine afroamericana di soli 42 anni, perché tacere significa acconsentire. Molte istituzioni internazionali hanno espresso il loro sgomento e la loro ribellione di fronte a questa barbarie legalizzata e io voglio unire a questa protesta mondiale la voce della scienza.

 Non si può tacere di fronte all’assassinio di Stato di Troy Davis, cittadino statunitense di origine afroamericana di soli 42 anni, perché tacere significa acconsentire. Molte istituzioni internazionali hanno espresso il loro sgomento e la loro ribellione di fronte a questa barbarie legalizzata e io voglio unire a questa protesta mondiale la voce della scienza. Nel Convegno appena concluso a Venezia sul «Futuro della Scienza», è stato ampiamente dimostrato che il cervello si rigenera e si riplasma e dunque la persona che è stata uccisa pochi giorni fa, non è la stessa che ha progettato ed effettuato un crimine anni prima, ammesso e non concesso che l’abbia effettivamente perpetrato. Le neuroscienze dimostrano inequivocabilmente l’assurdità della pena di morte, uno strumento barbaro nato in civiltà primitive che avevano conoscenze dell’uomo e del Pianeta infinitamente più limitate e condizioni di vita infinitamente più arretrate. Erano mondi che si reggevano sulla violenza e in cui il valore della singola vita umana era quasi nullo. Possiamo arrivare a capire — senza condividere — che nei Paesi dove ancora oggi sono sistematicamente calpestati i fondamentali diritti umani, possa ancora esistere la pena di morte. Ma è difficile comprendere come lo stesso avvenga negli Usa, che si pongono come faro del progresso e ago della bilancia degli equilibri mondiali. È molto difficile giustificare come la Terra del Futuro, a cui il mondo guarda per comprendere il domani, possa ancora credere in un metodo di controllo della criminalità così primitivo. Oggi, con il bagaglio che abbiamo di conoscenze sul cervello e sulla mente umana, uccidere un assassino risulta un modo per legittimare il principio della vendetta e per legalizzare la cultura della violenza, creando una spirale negativa nella società. Infatti, malgrado dal 1976 (anno in cui la pena di morte è stata reintrodotta negli Usa) siano stati giustiziati 1.043 cittadini, nessun calo di criminalità è stato registrato, anzi: gli omicidi sono 5 volte più frequenti negli Stati Uniti che in Italia.

Inoltre è sempre più ampia fra gli uomini di scienza la schiera dei sostenitori dell’ipotesi ambientale dell’aggressività, in base alla quale la criminalità ha origine appunto nell’ambiente in cui la persona nasce e cresce e dunque soprattutto in modelli educativi sbagliati, o in abusi durante l’infanzia. Se è vero che l’ambiente violento può generare comportamenti violenti, allora è vero anche il contrario: un ambiente non violento può generare comportamenti non violenti. La giustizia ha quindi il dovere di punire e rieducare, ma non ha in nessun modo il diritto di uccidere. Inoltre, cosa ancora più iniqua, il numero di condanne a morte è sproporzionato nei confronti di persone povere o appartenenti a minoranze etniche o religiose e non solo in Arabia Saudita, Iran e Sudan, ma anche negli Stati Uniti. L’uccisione di Davis tragicamente lo conferma. In questi giorni gli scienziati e tutti coloro che credono nel valore della vita e lottano quotidianamente per difenderla sono sconsolati, ma va ricordato che il mondo si sta avvicinando all’abolizione della pena di morte: secondo Amnesty International, nel 2010 sono saliti a 96 i Paesi che l’hanno abolita per tutti i reati, e solo 23 condanne sono state eseguite nei Paesi che ancora la mantengono.

C’è una speranza. E in un mondo globale e strettamente interconnesso dal punto di vista economico e culturale, è interesse di tutti che la speranza diventi realtà e ogni forma di violenza venga delegittimata. Per questo la campagna contro l’«uccisione di Stato» deve continuare su ogni fronte. Attraverso Science for Peace io voglio lanciare un nuovo appello a tutti i cittadini perché sostengano insieme ai medici e agli uomini di scienza questo obiettivo, aderendo al movimento. Perché tacere significa acconsentire.

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