Alla Corte di giustizia si discute se i tribunali italiani e greci hanno il diritto di chiedere il risarcimento per le vittime delle stragi e delle deportazioni naziste. Per Angela Merkel la sovranità viene prima degli orrori. Intervista all’avvocato Joachim Lau, che difende i deportati
Alla Corte di giustizia si discute se i tribunali italiani e greci hanno il diritto di chiedere il risarcimento per le vittime delle stragi e delle deportazioni naziste. Per Angela Merkel la sovranità viene prima degli orrori. Intervista all’avvocato Joachim Lau, che difende i deportati
Nel dicembre 2008 la Germania ha citato in giudizio l’Italia davanti alla corte internazionale di giustizia dell’Aia, con la complicità del governo Berlusconi, che dichiarò «utile» un chiarimento giuridico in quella sede. Oggetto del contendere le sentenze italiane che condannano la Germania a risarcire sia i familiari delle vittime delle stragi commesse in Italia da soldati tedeschi tra il 1943 e il 1945, sia il lavoro coatto estorto ai deportati e agli internati militari, e che inoltre autorizzano le vittime greche della strage di Distomo a rivalersi su beni tedeschi in Italia. Per il governo Merkel queste sentenze violerebbero il diritto della Germania, come stato sovrano, a non essere giudicata da tribunali stranieri. Per la corte di Cassazione italiana, invece, l’immunità giurisdizionale degli stati cessa di fronte a gravi crimini di guerra e a violazioni dei diritti umani. La causa, in cui anche la Grecia ha chiesto di intervenire, è cominciata ieri all’Aia. La sentenza è attesa entro la fine dell’anno. La decisione non riguarderà solo i risarcimenti per le vittime dei crimini nazisti, ma anche la possibilità per le vittime delle guerre attuali e future di citare in giudizio per danni gli stati che le praticano. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Joachim Lau, giurista tedesco con studio a Firenze, che difende da anni vittime italiane e greche dei crimini nazisti. È stato Lau, con le sue battaglie anche in Cassazione, a ottenere le sentenze che fanno disperare il governo tedesco.
Come si è arrivati al ricorso della Germania alla corte dell’Aia?
Col trattato di Londra nel 1953 sui debiti pregressi della Germania, la Repubblica federale tedesca aveva promesso di regolare dopo la riunificazione i danni per i crimini commessi dal Reich nei paesi occupati durante la guerra. Ottenne così un rinvio. Richieste di cittadini stranieri danneggiati venivano respinte fino al 1990 dai tribunali tedeschi, con riferimento a questi accordi, come «infondate nella situazione attuale». Dopo la riunificazione ci sono stati diversi tentativi di far riconoscere dai tribunali tedeschi l’obbligo risarcitorio della Bundesrepublik, come responsabile sul piano del diritto civile. Questi tentativi sono tutti falliti, perché ora si sosteneva – disattendendo precise disposizioni – che i diritti al risarcimento sarebbero nel frattempo caduti in prescrizione, o comunque non avrebbero potuto essere fatti valere nei confronti dello stato tedesco, in mancanza di accordi di reciprocità con gli stati dei querelanti. Perciò le persone danneggiate si sono rivolte a tribunali greci e italiani, sebbene la Germania si ritenga immune dalla loro giurisdizione. Su questa pretesa immunità dovrà ora decidere la corte dell’Aia.
Come hanno reagito i tribunali greci e italiani alle obiezioni della Bundesrepublik?
Nel 2000 il supremo tribunale civile greco si occupò delle richieste dei sopravvissuti e dei familiari delle vittime della strage di Distomo, un villaggio dove nel giugno 1944 le SS uccisero 218 persone. Quel tribunale respinse le obiezioni di immunità della Rft, sostenendo che lo stato straniero, violando gravemente i diritti umani, avrebbe tacitamente rinunciato ai propri diritti di immunità sul piano del diritto internazionale. E dispose un risarcimento di circa 28 milioni di euro. Tuttavia la sentenza non poté essere eseguita in Grecia, perché il governo di Atene, sottoposto a pressioni tedesche, non concesse l’autorizzazione politica richiesta dalla normativa greca. In seguito una corte speciale, appositamente costituita, ha riistabilito l’immunità della Germania dalla giurisdizione ellenica. Le vittime greche mi diedero allora mandato di eseguire in Italia la sentenza di Distomo, perché secondo una sentenza della corte costituzionale italiana – si trattava del disastro provocato da un pilota americano che col suo aereo aveva tranciato i cavi della funivia del Cermis – richieste di risarcimento nei confronti di uno stato estero non devono essere autorizzate dal governo italiano.
Quanto alle richieste di risarcimento di cittadini italiani, nel 2004 anche la corte di cassazione, decidendo nel caso del mio mandante Luigi Ferrini deportato al lavoro coatto in Germania nel 1944, negò il diritto della Bundesrepublik a valersi dell’immunità statale. La corte sostenne che, altrimenti, non sarebbe stato possibile garantire sul piano del diritto internazionale la tutela da gravi violazioni dei diritti umani. Secondo la cassazione, tutti i tribunali di ogni stato sono tenuti a perseguire questi crimini, e ciò contempla anche la condanna degli stati responsabili a risarcimenti di diritto civile. In seguito il tribunale di Firenze dispose per Ferrini un risarcimento di 30mila euro.
Quante sentenze sono state nel frattempo pronunciate contro la Germania e quante sono ancora pendenti?
A sette anni dalla decisione della cassazione che sottopone la Germania alla giurisdizione dei tribunali italiani per i suoi crimini di guerra, credo che pendano più di 200 cause. Finora sono state pronunciate una decina di sentenze di condanna a risarcimenti, sia per i massacri ai danni della popolazione civile – il primo caso fu la sentenza del 2006 per la strage nazista di Civitella, con più di 200 vittime – sia per le deportazioni e il lavoro coatto, a cominciare dal caso di Luigi Ferrini. Ma di regola nelle prime istanze i tribunali italiani tendono a respingerete richieste di risarcimento per la deportazione e il lavoro coatto, considerandole prescritte. Il governo tedesco, invece di rispettare i patti internazionali che lo impegnerebbero a negoziare con i governi greco e italiano il risarcimento di questi danni, ha preferito rivolgersi alla corte dell’Aia. Certo anche in ragione della sua dominanza economica, ha «convinto» il governo Berlusconi a dichiararsi d’accordo con la richiesta di un «chiarimento», davanti alla corte internazionale di giustizia, della questione giuridica dell’immunità della Germania dalla giurisdizione dei tribunali italiani. Senza questo assenso del governo italiano, il procedimento all’Aia non avrebbe potuto essere aperto, perché sulla questione dei risarcimenti, compresa la competenza della giustizia ordinaria dei singoli paesi, la competenza spetta esclusivamente a un collegio arbitrale, previsto dall’articolo 28 dell’accordo di Londra sui debiti della Germania.
Come ha reagito il governo italiano nel vedersi citato in giudizio dalla Germania?
Berlusconi, Frattini e Alfano, con un decreto convertito in legge nel giugno 2010, hanno sospeso l’esecuzione in Italia di sentenze contro la Germania fino al 31 dicembre 2011, termine entro il quale si aspetta una decisione della corte dell’Aia. Non è stato così finora possibile risarcire le vittime di Distomo, che pure avevano già ottenuto l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale sulla sede del centro studi italo-tedesco di Villa Vigoni, a Menaggio sul lago di Como, e il pignoramento dei crediti delle ferrovie tedesche presso Trenitalia, crediti connessi alla vendita i biglietti su tratte internazionali. Questa leggina non ha tuttavia trattenuto i tribunali militari, che giudicano sulle stragi nazifasciste, dal continuare a condannare il governo tedesco, come responsabile sul piano del diritto civile, a risarcimenti per i crimini della Wehrmacht. È avvenuto ancora il 6 luglio scorso al tribunale militare di Verona, per i massacri commessi dalla divisione Hermann Göring a Monchio, Cervarolo, Vallucciole e in altri paesi dell’Appennino.
Al di là dei risarcimenti per le vittime del nazionalsocialismo, che conseguenze potrà avere il pronunciamento dell’Aia?
La questione dell’immunità degli stati assume un’enorme importanza nella attuale fase di tensioni economiche e sociali. La crisi globale del capitalismo è accompagnata in misura crescente, a livello internazionale e anche all’interno di alcuni stati, da massicci interventi militari, nel cui ambito si verificano sistematicamente uccisioni, torture, sequestri di persona, insomma gravi violazioni dei diritti umani, eufemisticamente definite «danni collaterali». La responsabilità penale internazionale degli autori di questi crimini, ora regolamentata dal diritto internazionale, ha tuttavia solo una limitata efficacia preventiva. Un forte potere deterrente potrebbe avere invece l’attuazione del principio della responsabilità civile degli stati, come previsto dall’articolo 8 della dichiarazione universale dei diritti umani. Ma un ripristino della dottrina tradizionale dell’immunità degli stati, ora invocato dalla Germania, vanificherebbe questo deterrente. Ripristinare l’immunità degli stati anche in presenza di gravi violazioni dei diritti umani, come vorrebbe il governo Merkel, è il linea di principio un obiettivo contrario al diritto, anacronistico e reazionario. Ma le considerazioni che inducono a questa valutazione vengono tenute fuori dall’aula dell’Aia, perché le vittime greche e italiane della seconda guerra mondiale, così come le vittime delle guerre attuali, non hanno voce nel procedimento.
Se lei potesse intervenire nel dibattimento all’Aia, cosa direbbe ai giudici?
Gli ricorderei innanzitutto che sin dal 1907, con la convenzione dell’Aia sulle leggi e gli usi della guerra terrestre, gli stati, Germania compresa, proibirono di «dichiarare abolite, sospese o inammissibili in una corte di giustizia i diritti e le richieste di cittadini del partito avverso» (articolo 23 H), nel nostro caso i cittadini dell’Italia e della Grecia occupate. Ed è proprio questo che il governo Merkel vorrebbe dalla corte dell’Aia: tornare indietro di più di cento anni. La Germania e l’Italia, con la convenzione di Ginevra del 1949 per la protezione delle persone civili in tempo di guerra, hanno espressamente ribadito (articolo 154) la vigenza della convenzione del 1907 sulla guerra terrestre, confermando così che pure il suo articolo 23 H, che vieta di impedire l’accesso ai tribunali alle vittime civili delle guerre, continuava a valere, anche per il passato. Dunque lo stato tedesco non può non accettare le sentenze di risarcimento dei tribunali italiani, emesse dopo che i tribunali tedeschi si erano rifiutati di discutere le istanze dei ricorrenti. Né la Germania può obiettare che durante la guerra valevano altre regole. Le cause di risarcimento attualmente in discussione vanno decise secondo gli standard procedurali attuali. E non è colpa dei ricorrenti se di risarcimenti si discute ancora, a 66 anni dalla fine della guerra.
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