Una storia singolare e collettiva per attraversare i movimenti sociali

TEMPI MODERNI/2 «Genova dentro» di Luca Casarini per Editori Riuniti

TEMPI MODERNI/2 «Genova dentro» di Luca Casarini per Editori Riuniti

 A lla lettura di «Genova dentro» (a cura di Ludovico Lamarra, Editori riuniti, euro 18), la prima riflessione che viene da fare è che il G8 e la sua ferita appaiono quasi un inciso e non il fulcro di questo libro e della vita del suo autore, Luca Casarini. Di più, la conseguenza quasi logica di un percorso esistenziale che è insieme singolare e collettivo. Non vi si trova nessuna denuncia di ciò che è stato già più volte rimasticato, anche in occasione del decennale, nessuna controinchiesta o invettiva rivolta al potere e al suo uso spropositato della forza. E non è predominante, complessivamente, la lettura politica degli eventi, da chi fu protagonista di quella «dichiarazione di guerra» ai potenti del mondo che assumeva lo stile e il linguaggio zapatista e che tanto fece discutere durante e dopo quelle giornate.

Quello che Casarini preferisce raccontare è la sua vita all’interno di una comunità che si è pensata parte di una «moltitudine» in cammino: i centri sociali di fine anni ’80, lo zapatismo e le tute bianche degli anni ’90, i disobbedienti dei primi anni zero. È un racconto acritico e non poteva essere diversamente, volutamente incompleto perché chiunque che ci si ritrovi coinvolto possa aggiungervi la propria esperienza per una narrazione collettiva.
La seconda impressione, del tutto personale, che il testo (realizzato sotto forma di intervista) provoca in chi scrive è quello di associare gli aspetti più soggettivi ad alcuni ricordi: Casarini mano nella mano con un’anziana signora di Sant’Angelo a Scala, nell’avellinese, al campeggio no global organizzato dal prete ribelle don Vitaliano della Sala, nel 2001; Casarini che, da solo e senza protezioni, si indigna e litiga con degli agenti di polizia davanti a una «zona rossa» durante un vertice europea a Siviglia, nel 2003. Ebbene, che relazione c’è tra l’educazione familiare, cattolica «senza alcuna forma di fanatismo», con una certa pratica di impegno politico e di relazioni umane? Quanta parte dell’impegno a favore dei più deboli deriva da quello, acquisito da piccolo, per aiutare i genitori, una coppia di sordomuti? Quanto della indignazione di fronte ai simboli del potere deriva da quella stagione politica e da quel movimento nato a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 e genericamente definito «dei centri sociali»?
Luca Casarini parlando di sé passa in rassegna un’intera stagione politica. Dalla Pantera del ’90, vero e proprio battesimo politico per una generazione di attivisti che arriverà adulta a Genova e che ancora oggi non abbandona il campo, al primo International meeting sulle nuove frontiere della rivolta digitale nel ’91, precursore dei Facebook e Twitter di oggi; dallo sgombero, violento, del Leoncavallo, alla «guardia del corpo» del subcomandante Marcos, a scuola di «rivoluzione»; dai «fondamentali» di filosofia politica appresi alle lezioni parigine di Toni Negri, a imparare che non esiste pensiero senza azione, alle prime manifestazioni contro i Centri di permanenza temporanea per immigrati con l’invenzione degli «scudi» per difendersi dalle manganellate, e agli «invisibili» dei tempi del pacchetto Treu, alle origini del precariato odierno.
Infine, Genova e le sue parole d’ordine. L’essere «dentro» il sistema capitalistico globalizzato e «contro», con un’idea costante di «sabotaggio» e «rovesciamento dei meccanismi che ci imprigionano». Con il senno di poi, Casarini matura l’idea che si è trattato di un movimento che si muoveva «dentro la prima grande crisi della globalizzazione» mentre «noi pensavamo di essere nella belle époque del neoliberismo». Un capitolo a parte meriterebbe il rapporto con Rifondazione comunista, arenatosi sullo scoglio della «forma partito» che il partito di Bertinotti non intendeva abbandonare. Poi arriveranno l’11 settembre e la «guerra globale permanente» a cambiare il quadro, fino alla grande crisi del 2008 che prosegue fino ai giorni nostri e che spinge a ricercare nuove alleanze. Sempre facendo un passo indietro e rimettendo in discussione le proprie categorie per provare a farne due in avanti. Si chiama Uniti contro la crisi la nuova grande sfida, le nuove frontiere del conflitto tornano a parlare di capitale e lavoro ma anche di beni comuni. Oggi come oggi, rappresenta una delle pochissime voci fuori dal coro dell’«unità nazionale».

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