Shoah. «Il termine è entrato nell’uso comune Vogliono relativizzare una tragedia unica»

PARIGI — È venuto il momento di andare oltre il termine Shoah?
«No, la guerra alla parola Shoah è assurda. Lanzmann ha ragione. Per una volta, mi viene da aggiungere, sono d’accordo con lui». Il grande storico Pierre Nora, 80 anni a novembre, accademico di Francia e direttore per Gallimard della monumentale opera Luoghi della memoria, ha fatto della libertà  intellettuale una delle sue battaglie, fino a fondare l’associazione «Liberté pour l’Histoire» in opposizione alle norme (dalla legge Gayssot sulla negazione dei crimini contro l’umanità  a quella sul genocidio degli armeni) che finiscono a suo giudizio con l’imbrigliare il lavoro del ricercatore. Ebreo, a 12 anni si salvò dalla Gestapo scappando dalla finestra della scuola di Villard-de-Lans dove era tenuto nascosto. Amico di Israele, meno viscerale di Lanzmann, stavolta condivide la sua indignazione.

PARIGI — È venuto il momento di andare oltre il termine Shoah?
«No, la guerra alla parola Shoah è assurda. Lanzmann ha ragione. Per una volta, mi viene da aggiungere, sono d’accordo con lui». Il grande storico Pierre Nora, 80 anni a novembre, accademico di Francia e direttore per Gallimard della monumentale opera Luoghi della memoria, ha fatto della libertà  intellettuale una delle sue battaglie, fino a fondare l’associazione «Liberté pour l’Histoire» in opposizione alle norme (dalla legge Gayssot sulla negazione dei crimini contro l’umanità  a quella sul genocidio degli armeni) che finiscono a suo giudizio con l’imbrigliare il lavoro del ricercatore. Ebreo, a 12 anni si salvò dalla Gestapo scappando dalla finestra della scuola di Villard-de-Lans dove era tenuto nascosto. Amico di Israele, meno viscerale di Lanzmann, stavolta condivide la sua indignazione.
Perché è una parola così importante?
«È entrata senza sforzo nell’uso comune. Nel mondo anglosassone si continua a preferire Olocausto, ma in Europa dopo il film di Lanzmann la usano tutti, storici e — finora — insegnanti e allievi. Non c’è motivo di sconsigliarne l’utilizzo nei manuali scolastici».
Come mai allora quella circolare del ministero francese?
«Non credo per antisemitismo. Conosco bene Dominique Borne, il dirigente del ministero su cui Lanzmann punta il dito. Non è un antisemita, ma il classico democratico cristiano che esprime ormai un pensiero che non è solo suo: alcuni ebrei esagerano con le rivendicazioni e con la tendenza a mettere sempre in avanti la loro tragedia. A parere di Borne e di quelli che la pensano come lui, gli ebrei hanno mitizzato il loro dolore, hanno spostato il pendolo troppo da una parte ed è venuto il momento di riequilibrarlo. Solo che in questo modo lo stesso pendolo viene spinto all’estremo opposto, e neanche questo va bene».
In gioco, pare di capire, c’è l’unicità della Shoah.
«Al di là della questione nominalistica, è questo il punto. Non condivido la tentazione di fare dello sterminio il momento, di fatto, centrale della nostra identità. Su questo sono stato spesso in disaccordo con Lanzmann, che in altre occasioni ho trovato troppo oltranzista».
Ma stavolta, lei dice, Lanzmann ha ragione.
«Sì, lo dico da storico, nessun altro massacro nella storia dell’uomo è simile alla Shoah. Non quello degli zingari, ora associato in qualche manuale a quello degli ebrei. È odioso mettersi a fare classifiche tra le tragedie, ma gli zingari non furono vittime di un piano sistematico di sterminio totale, non erano loro la priorità di Hitler. L’industria della morte venne messa in piedi per la Shoah, per sterminare gli ebrei».
Anche quello del Ruanda è riconosciuto come genocidio.
«Certamente, nessuno pensa che nella storia dell’uomo solo gli ebrei siano stati l’unico bersaglio di un massacro generalizzato su base etnica. Ma solo contro di loro si è pensata e realizzata un’azione di tipo industriale, tecnologica, razionale. Gli orrori del Ruanda sono agghiaccianti, naturalmente. Ma dal punto di vista dello storico, a prescindere dalla assai spiacevole classifica delle vittime, cioè sei milioni di ebrei contro un milione di tutsi, un conto sono le stragi a colpi di machete, e un conto è l’invenzione delle camere a gas, dei forni crematori, del complesso e moderno sistema burocratico dei treni e dei campi di concentramento».
Crede che stia vincendo la voglia di banalizzare la Shoah?
«Proponendo al suo posto l’assurdo e vago termine di “annientamento”, si vuole relativizzarla, ridurne la portata nei secoli, in qualche modo addomesticarla. Ripeto, non direi che siamo in presenza di un atto di antisemitismo strisciante, ma di normalizzazione, questo sì».
Non è strano che, prima della protesta di Lanzmann, una circolare così importante fosse passata sotto silenzio?
«Sì è molto strano e, quanto a me, me ne dispiaccio enormemente. È qualcosa che non avrebbe dovuto sfuggirmi, non bisogna mai abbassare la vigilanza. Arriveremo a ribattezzare il Memoriale della Shoah chiamandolo “Memoriale dell’annientamento”? È davvero ridicolo».

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