Se i libri di scuola francesi cancellano la parola Shoah

Il ministero: «Meglio dire annientamento»

Il ministero: «Meglio dire annientamento»

PARIGI — Claude Lanzmann, oggi 85enne, amico di Jean-Paul Sartre e compagno di Simone de Beauvoir (dal 1952 al 1959), attuale direttore della loro rivista Les Temps Modernes e autore del bellissimo libro di memorie «La lepre della Patagonia» (Rizzoli), cominciò a lavorare a un documentario sullo sterminio degli ebrei nel 1974. Dopo undici anni di lavoro e circa 300 ore di testimonianze dei sopravvissuti, l’opera finale di 9 ore e mezzo era pronta. «Nel corso della lavorazione non ho mai usato alcun nome per quello che non osavo neppure chiamare l’evento — scrisse qualche anno fa —. Tra me e me, come in segreto, dicevo la Cosa. Come poteva esserci un nome per ciò che era assolutamente senza precedenti nella storia dell’uomo? La parola Shoah mi si è imposta perché, non parlando l’ebraico, non ne comprendevo il senso, e questo era un altro modo per non dare un nome».
Nel 1985 il documentario «Shoah» ebbe successo in tutto il mondo, e da allora — soprattutto in Europa — quella parola è entrata nel lessico storiografico e nell’uso comune per designare lo sterminio sistematico di sei milioni di ebrei ad opera dei nazisti e dei loro volonterosi aiutanti. Oggi il termine Shoah — e quel che rappresenta, ossia l’unicità del massacro degli ebrei — è rimesso in discussione, ed è lo stesso Lanzmann a darne notizia con un indignato intervento sulle colonne di Le Monde: al posto di Shoah, nei manuali scolastici francesi, viene ora preferito il generico termine «annientamento».
Non capita per caso. Una circolare del ministero dell’Educazione nazionale, passata piuttosto inosservata ma pubblicata nel bollettino ufficiale n° 7 del settembre 2010, insisteva già sulla necessità di sopprimere la parola Shoah dai manuali. «Una raccomandazione seguita degli editori dei volumi scolastici di questo rientro 2011», sostiene Lanzmann, scandalizzato. «Genocidio, sterminio, annientamento, sono nomi comuni che hanno bisogno di un aggettivo che li qualifichi — scrive —. Ecco perché si può leggere in alcuni nuovi manuali (Magnard, Hatier) la formula genocidio degli ebrei e in altri (Nathan Le Quintrec) genocidio nazista. Chi genocida chi è un’altra questione, e la dice lunga sull’imprecisione dei redattori e sul pasticcio ingenerato dal rifiuto, per niente innocente, della parola Shoah». Lo scrittore e regista accusa lo storico Dominique Borne, importante dirigente del ministero, di avere imposto la sua visione e il suo fastidio per l’uso di una «parola straniera». «Non ce l’hanno solo con il nome, ce l’hanno con la Cosa», dice Lanzmann, che denuncia l’espressione «annientamento degli ebrei e degli zingari» come la prova di una volontà di relativizzare, appunto, la Shoah.

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