Testimone di un violento pestaggio fascista, lo scrittore americano riportò i suoi umori sinistrati in questo racconto
Testimone di un violento pestaggio fascista, lo scrittore americano riportò i suoi umori sinistrati in questo racconto
L’«Europa era un vino troppo forte per lui», scriveva Alberto Arbasino in Fratelli d’Italia. «Lui» è Francis Scott Fitzgerald, il grande sognatore, il «povero» e «infelice ragazzo» del West che soccombe, aggiunge Arbasino, al «troppo successo… e troppo presto». Della disillusione – e della rovina – che si libravano sulla sua breve, ma geniale, esistenza, Fitzgerald s’accorse altrettanto presto. Ce n’è sentore in ogni riga che ha lasciato, a partire dalle malinconie di Di qua dal paradiso (1920). Eppure, della verità di quel presagio prese solida coscienza solo quando, nel 1925, iniziò a mettere mano a Tenera è la notte (1934), il suo quarto romanzo molto sofferto e tutto ambientato, a differenza degli altri, in Europa: fra Parigi, la Riviera, la Svizzera e marginalmente – ma drammaticamente – Roma.
Con la prospettiva di correggere le bozze del Grande Gatsby, a Roma Scott e Zelda si trasferirono nell’inverno del 1924-1925. La Riviera era diventata costosa, e l’Italia avrebbe forse permesso loro di economizzare: duro esercizio per una coppia abituata a spendere. Non fu una scelta felice. La città si preparava all’Anno Santo, con rinnovi edilizi più o meno raffazzonati per accogliere i pellegrini del nuovo secolo, mentre, su un altro versante, si vivevano i postumi del delitto Matteotti e si assisteva alla definitiva presa del potere da parte di Mussolini nel gennaio del 1925. La Roma aristocratica e poetica di Henry James (pur sempre foriera di disastri) si era trasformata in una città arrogante, volgare e violenta. Il freddo di quell’inverno, l’umidità, il cibo cattivo, problemi personali, i malesseri di Zelda – si mormora di un aborto – le ubriacature in locali equivoci, la drastica revisione del Gatsby sulle bozze giunte da New York («ho finalmente dato vita a Gatsby», Scott scrisse all’editor Maxwell Perkins), non aiutarono a familiarizzare con la città. Unica consolazione restava la vista da Piazza di Spagna della casa dove morì l’amato Keats, il cantore della notte «tenera» nell’Ode all’usignolo; e unico diversivo fu seguire sulla via Appia il set del Ben Hur di Fred Niblo, con Carmel Myers e Ramón Novarro.
Attorno al 20 dicembre del 1924 qualcosa di spiacevole accadde alla fine di una nottata movimentata, qualcosa (un violento pestaggio fascista) che segnò Fitzgerald nell’intimo e per sempre. Non ne non volle mai parlare («dopo una certa cosa che mi accadde a Roma …»), ma ne lasciò traccia nello sbeffeggiante «The High Cost of Macaroni», uno sketch incompiuto, rimasto inedito fino al 1954 quando, ritrovato dalla figlia Scottie, fu pubblicato da H.D. Piper sulla rivista «Interim». Non fu recuperato in Crepuscolo di uno scrittore (1957), dove si ristampavano «Come vivere con trentaseimila dollari l’anno» e «Come vivere praticamente di nulla», gli altri due sketch sull’elevato costo del fare economia, di cui «The High Cost of Macaroni» avrebbe dovuto costituire la terza tranche. In seguito, alleggerito degli stereotipi, quel pezzo scartato riecheggerà nella parte romana di Tenera è la notte, dove la disavventura subìta da Scott (la sua «catastrofe») sarà proiettata sul protagonista, l’ormai declinante e alcolizzato, eppure un tempo promettente, Dick Diver. Nonostante l’eterno bisogno di denaro, nel gennaio del 1925 al suo agente Harold Ober, che lo invitava a una ben retribuita testimonianza su Roma, Fitzgerald rispose con un secco no: «Odio l’Italia e gli italiani in modo così violento che non riesco a scriverne». Una affermazione che non ci consola, ma che ci stimola a leggere oggi per la prima volta in italiano quel suo ritratto privato della Roma di allora.
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