Quel golpe di 20 anni fa in Unione sovietica

Quel lunedì 19 agosto di vent’anni fa, ambasciatore a Mosca in vacanza, sobbalzai nell’apprendere al mattino presto dalla radio la notizia dell’arresto di Mikhail Sergjevic Gorbaciov. Il Presidente dell’Unione sovietica e segretario generale del Partito comunista dell’Urss, era stato confinato con la famiglia nella residenza estiva di Foros in Crimea dove si trovava, dimissionato e sostituito da un “comitato d’emergenza” presieduto dal vice presidente Janaev, da poco nominato.

Quel lunedì 19 agosto di vent’anni fa, ambasciatore a Mosca in vacanza, sobbalzai nell’apprendere al mattino presto dalla radio la notizia dell’arresto di Mikhail Sergjevic Gorbaciov. Il Presidente dell’Unione sovietica e segretario generale del Partito comunista dell’Urss, era stato confinato con la famiglia nella residenza estiva di Foros in Crimea dove si trovava, dimissionato e sostituito da un “comitato d’emergenza” presieduto dal vice presidente Janaev, da poco nominato.
Dalla Sicilia, dove trascorrevo in campagna il mese di agosto, potei raggiungere telefonicamente il Presidente del Consiglio Andreotti, assicurarlo che sarei rientrato immediatamente a Mosca, chiedergli istruzioni e accertare che il ministro degli Esteri De Michelis sarebbe stato in grado di tornare a Roma in giornata. Riuscii a raggiungere la Farnesina nelle prime ore del pomeriggio, proprio mentre l´ambasciatore sovietico consegnava al nostro segretario generale Bruno Bottai la lettera con cui Janaev ci informava – come aveva fatto con altri governi – che lo stato di salute di Gorbaciov richiedeva il suo allontanamento dalla carica e la sostituzione con il “comitato”, con l´assicurazione che quest´ultimo avrebbe proseguito nella politica di pace e collaborazione con l´Occidente.
La nostra televisione trasmetteva intanto in diretta da Mosca le immagini della conferenza stampa convocata d´urgenza dai golpisti e le dichiarazioni del nuovo presidente pro tempore, affiancato dai vertici del Kgb, dell´Armata Rossa e del Soviet Supremo, dal Primo ministro e da quello dell´Interno, gli uomini del potere, quelli che “contavano”. Ne conoscevo abbastanza bene quattro. Ebbene, guardandoli impacciati affrontare i presenti e le tv di tutto il mondo, ascoltando le dichiarazioni insipide di Janaev, impacciato e incerto, riportai un´impressione molto strana: almeno un paio dei congiurati sembravano aver cercato il coraggio in una bottiglia di vodka… Forse guardavo il primo golpe etilico della Storia!
Tornato a Mosca l´indomani con il volo del mattino, senza certezza per l´atterraggio, tutto sembrava tranquillo. Sull´autostrada dell´aeroporto e poi sui viali della capitale si infittiva la presenza dei carri – che l´autista superava impassibile – e di una folla pacifica attorno ai blindati. Dal portello aperto emergeva a mezzo busto il comandante del carro, un giovane maggiore quasi imberbe: i congiurati avevano occupato Mosca con la divisione territoriale Tamanskaja, i carristi che in caso di sommossa, mai avrebbero sparato sulle famiglie, le fidanzate, le sorelle. Per fortuna, il golpe fu incruento, salvo tre poveretti che perirono nei tunnel della città.
Chiaramente il colpo di Stato era fallito già il secondo giorno, il nuovo regime si stava sbriciolando. Quando arrivai in ambasciata Eltsin era già salito sul carro armato dinanzi alla Casa Bianca che ospitava il governo e il parlamento della Russia non ancora indipendente. La successione si prefigurava: a spese dello Stato sovietico che era in disfacimento, il governo della Federazione Russa si consolidava.
Perché fosse chiaro chi ormai deteneva il potere effettivo, il ministro degli Esteri russo Kozyrev si affrettò a far sapere agli ambasciatori dell´Unione Europea che i congiurati avevano abbandonato la partita, che Gorbaciov sarebbe stato liberato subito e il Primo ministro russo Ivan Silaev sarebbe andato a prenderlo a Foros con un aereo per riportarlo a Mosca. Eltsin si sarebbe poi vendicato sottoponendo il rivale a ogni sorta di umiliazioni, residuo forzoso del tradizionale rituale dell´autocritica.
C´eravamo tutti ad accogliere Mikhail Sergjevic e Raissa Maksimovna quando la notte dopo tornarono a Mosca nella drammatica immagine che ricordiamo e li accompagnammo, sempre in corteo, all´ospedale del governo per le prime cure.
Quattro mesi dopo il fallito golpe si consumava il destino dell´Unione Sovietica in un´agonia spesso incomprensibile e piena di incertezze che si sviluppava nell´implosione turbolenta di un impero multinazionale dopo la fine del sistema esterno di paesi satelliti. La Russia risorta succedeva all´Urss in tutti i trattati internazionali, soprattutto in quelli di disarmo e controllo degli armamenti nucleari, ed assicurava così la sicurezza europea e mondiale che ambiva a cogestire. Era l´avvento di un decennio di preponderanza degli Stati Uniti, anticamera dello scenario multipolare d´oggi. Il 25 dicembre di quell´anno la bandiera rossa veniva ammainata e sul pennone dell´antica residenza degli Zar garriva il tricolore russo.
Il giorno precedente – per noi la vigilia di Natale – Gorbaciov lasciava per sempre il Cremlino. Prima della partenza mi ricevette nel suo studio, credo ultimo tra gli estranei, mi parlò a lungo delle riforme che aveva sognato e tentato di attuare, forse peccando di astrattezza, la perestrojka e la glasnost, dell´affetto per l´Italia. Più che dal potere, Mikhail Sergjevic prendeva congedo da un sogno ambizioso, forse irrealizzabile, forse segnato dalla conciliazione di termini opposti. Sarà ricordato anche per i molti meriti sul piano mondiale che gli storici approfondiranno, per il disegno della “casa comune europea” in cui collocava la Russia “petrina” riformata, per la denuncia della “dottrina Brezhnev” che aveva diviso l´Europa, come per gli errori commessi in buona fede, sia perché il suo disegno forse non era stato compreso o perché era molto in anticipo sui tempi.
Dovremo ricordare, aspetto significativo della sua personalià, che Gorbaciov lasciò il potere per avviarsi verso un futuro incerto e mediocre senza cercare di resistere al suo destino, ammesso che si possa opporvisi senza peccare della hybris dei tragici greci. Alla fine di giugno di quel fatidico anno, informato dal suo ambasciatore a Mosca, Bush padre che stimava Gorbaciov lo mise al corrente con relativa precisione della congiura dei bojari sovietici. Gorbaciov non intervenne con immediate misure preventive o repressive, come sarebbe stato nella tradizione russa e sovietica. Ne aveva certo gli strumenti, ma non se ne avvalse: il golpe fu rinviato ad agosto, prima della firma del trattato prevista per il 20 del mese.
Al di là delle memorie e delle ricostruzioni di maniera sulla fine dell´Urss, la figura morale di Mikhail Sergjevic meriterà un posto nella Storia: potrà dirci un giorno che ha voluto risparmiare al suo Paese una guerra civile in cambio del sogno che aveva inutilmente perseguito.

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