INTERVISTA. Raul Ruiz. Una conversazione con il regista, ospite della Milanesiana
Al momento dell’intervista Ruiz stava per iniziare le riprese di I misteri di Lisbona da Camilo Castelo Branco, che ha dovuto lottare contro i tagli di durata – una versione breve quasi dimezzata rispetto alle 4 ore originali – in nome del mercato. «In un certo senso devo diventare portoghese io stesso» aveva detto cercando di spiegare la genesi del film.
INTERVISTA. Raul Ruiz. Una conversazione con il regista, ospite della Milanesiana
Al momento dell’intervista Ruiz stava per iniziare le riprese di I misteri di Lisbona da Camilo Castelo Branco, che ha dovuto lottare contro i tagli di durata – una versione breve quasi dimezzata rispetto alle 4 ore originali – in nome del mercato. «In un certo senso devo diventare portoghese io stesso» aveva detto cercando di spiegare la genesi del film.
Quali sarebbero le caratteristiche
di un portoghese?
È una mentalità molto speciale, quasi siciliana, con una lingua che si introietta come lingua di difesa, quasi una fortezza. Ci sono tanti aspetti, l’esaltazione alla malinconia come un sentimento gioioso, e questo è molto strano, l’amore come pace non come violenza, ma la violenza è necessaria alla passione. È come l’Italia vista da Stendhal. Il Portogallo è un paese che cerca di non essere violento. È un’impressione molto forte perché tutto è storia d’amore, amore e guerra, guerra contro la Spagna, contro tutti. Ed è stato anche l’ultimo grande impero coloniale fino alla fine del salazarismo.
C’è anche una coproduzione con il Brasile
Sì, perché il momento storico è la guerra dei fratelli, il fratello brasiliano, l’imperatore del Brasile e il re del Portogallo. Il liberale e il conservatore. Ho rivisto da poco il Gattopardo per ispirarmi alle scene di battaglia. L’ho visto in Cile la prima volta durante la campagna elettorale di Allende ed era impressionante quando si diceva che si deve cambiare tutto perché tutto rimanga uguale. Questo ha colpito molto in Cile, perché era l’idea di Allende, cambiare tutto perché tutto rimanesse uguale. Invece non è stato così, il suo impeto rivoluzionario ha sorpreso tutti, tutti aspettavano un governo più moderato. Noi giovani eravamo molto critici nei suoi confronti, pensavamo che Allende non fosse granché proprio per quella posizione che aveva, poi siamo diventati tutti allendisti. Lui poi è andato oltre, come dice il suo nome: «Allende» vuol dire «al di là». Dunque Il Gattopardo parla di questo, è quasi al limite del cinema didattico. Che bel film.
Ma questo film da Castelo Branco non sembra essere a basso costo.
No, è un film molto sostenuto dal Portogallo perché si tratta de I misteri di Lisboa e Castelo Branco che è come un eroe nazionale. Come in Italia si contrappongono verdiani e pucciniani, in Portogallo ci sono i branchisti e i queiroziani, da Eça de Queiroz, o profondamente portoghese o più internazionale, più liberale, più critico. Per il momento sto fico (ecco il portoghese che si intromette) sto «diventando» branchista (…) Il paradosso portoghese è la malinconia profonda come forma di gioia e questo è strano para mi.
Ma i paesi che si affacciano sul mare o sull’oceano hanno un certo tipo di malinconia, come la malinconia mediterranea o anche quella cilena, del Pacifico
La malinconia cilena è piuttosto elvetica, è gente triste che fa soldi. Si dice in Cile: siamo piccoli ma facciamotanti soldi.
Soprattutto adesso si dice che c’è ancora una solida struttura economica.
È questa struttura durissima creata da Pinochet che i socialisti hanno modernizzato e in un certo modo peggiorato, ma con la signora Bachelet è migliorato, meno parole e più fatti (…)
C’è anche una grande trasformazione in tutto il continente
Una grande confusione soprattutto. Il continente è diventato nostalgico, tutti parlano molto del continente della tristezza, di Keyserling, il continente de la gana, della voglia senza ragione (…).
Prima di andare in Cile, lo avevo già visto nei suoi film girati proprio in Portogallo, con quei colori che sembravano inventati
Ricordo un amico belga che era venuto in Cile – talvolta faccio degli inviti nei cinema dei centri commerciali per parlare con la gente di tutte le età senza passare dall’università – era un giorno d’inverno, c’era una luce germanica, come fatta con effetti speciali. E lui ha detto: «quando la natura si mette a fare del Ruíz», è stato un grande elogio (…).
Cosa pensa della grande fioritura di cinema cileno come Larrain di «Tony Manero» o Amenabar?
Il capriccio è un elemento molto importante nel cinema, non si sa perché il pubblico o i critici preferiscono un film piuttosto che un altro. Non li ho visti e finirò per vederli in dvd. Invece mi interessa vedere Huacho, sono sicuro che sarà buono, sono grandi film che non sono mai stati mostrati all’estero, perché fatti da gente delle poblationes, delle borgate. Pejesapo è un film straordinario, l’autore organizza un festival di cinema politico a Santiago che si chiama «La Pintana» dal nome di una borgata molto dura. Fanno film con telecamere di pessima qualità, ma con una forza poetica straparticolare e incredibilmente ordinaria (…).
* pubblichiamo alcuni stralci da un’intervista uscita nel numero del 27 giugno 2009 di Alias
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