La laguna di Venezia è popolata di fantasmi: marinai, soldati, monaci, appestati. Ci sono luoghi abbandonati da secoli. Altri trasformati di recente: e subito dimenticati Sull’isola di Sessola per molti anni c’è stato un ospedale. Un’immobiliare tedesca ha trasformato quel filare di stanze in albergo Inaugurato e mai aperto. Deserto come l’isola
La laguna di Venezia è popolata di fantasmi: marinai, soldati, monaci, appestati. Ci sono luoghi abbandonati da secoli. Altri trasformati di recente: e subito dimenticati Sull’isola di Sessola per molti anni c’è stato un ospedale. Un’immobiliare tedesca ha trasformato quel filare di stanze in albergo Inaugurato e mai aperto. Deserto come l’isola
Quella sera, sulla mappa, la Laguna mi parve la radiografia di una piovra. Tentacoli rossi, blu e azzurri indicavano la diversa navigabilità dei canali in mezzo a valli, barene e paludi, infilandosi con curve sinuose in un labirinto di isolotti dai nomi mai sentiti. Cose come Buel del Lovo, Campalto, Carbonera o la Cura, piccole macchie gialle sui fogli “uno a 25 mila”. Così vidi Venezia nel nuovo atlante edito da Cristina Giussani, la libraia di “Mare di carta”. “Se cerchi le case degli spiriti – sorrise dal suo bancone in fondamenta dei Tolentini – non c´è niente di meglio della Laguna”. Descrisse monasteri, forti, cimiteri e lazzaretti mangiati dalla sterpaglia e fece nomi irresistibili: Valle dei sette morti, Ossario di sant´Ariano, Casin degli spiriti. Poi disse di Sacca Sessola, un´isola-ospedale trasformata in un albergo che però non era mai entrato in funzione. E di conseguenza era già popolato di spiriti.
A Sessola era difficile approdare senza il consenso degli attuali proprietari, un gruppo finanziario tedesco, ma questo raddoppiava per noi l´attrazione del luogo. Così Cristina si diede da fare, trovò un motoscafo per portarci sul posto e un “passepartout” per l´accesso allo spazio privato. L´indomani mattina – era domenica – la libraia mi guidò per calli segrete e vaporetti fin sull´isola di San Giorgio, dove la barca attendeva. E lì, mentre folle urlanti davano l´assalto al ponte di Calatrava e San Marco, cominciò in perfetto silenzio il viaggio in un´altra Venezia dimenticata dai turisti. A Nord, oltre lo scalo di Tessera, biancheggiavano le Dolomiti; a Ovest le gobbe nerastre dei Colli Euganei chiudevano l´orizzonte. Visibilità perfetta e vento leggero d´aprile segnarono la traversata di un mare chiuso dove tutto era, a pensarci, cimitero. Persino le torri petrolchimiche di Marghera, scintillanti nel sole del mattino.
L´isola comparve a Sud, nitida, con alberi altissimi e il parallelepipedo candido dell´hotel. C´erano non una ma tre darsene d´accesso, tutte al coperto. Una per gli ospiti comuni, una per i congressisti e una per gli invitati speciali. Era un´isola per ricchi, solo che i ricchi non c´erano più, la crisi se li era mangiati. Scendemmo tra roseti e prati inglesi tenuti in perfetta manutenzione, che stavano lì come ad aspettare qualcuno. Tutto era immobile, anche le lucertole sotto il sole a picco. L´apertura era prevista per il 2013, il centesimo anno dopo l´inizio della Grande Guerra. Ma il mega-hotel era stato già inaugurato, dieci anni prima, con una mega-festa in maschera sulla terrazza con vista. Poi la baracca era fallita per un miliardo di euro e il vento era diventato unico ospite di quelle lussuose stanze, fino all´arrivo dei nuovi padroni. Ora quella magnifica cosa deserta, tenuta in sterile efficienza con un encomiabile atto di fede, comunicava egualmente il suo vuoto. Sentivo che le sabbie, le correnti e i bassi fondali della laguna erano sempre lì, pronti a mangiarsi tutto al primo segno di abbandono.
L´isola, artificiale, era nata nel 1870 dall´accumulo dei fanghi dragati nei canali. Era stata lazzaretto, poi – in era fascista – ospedale per malattie polmonari. Una struttura-modello perfettamente autarchica, con 800 addetti, 600 degenti, orti, mucche al pascolo, forno del pane, chiesa, dopolavoro, magazzini e una fonte autonoma con torre piezometrica. La nostra guida ci portò nella hall lambita dal mare e cominciò a dire: «Qui c´era». Dicendolo, indicava cose che non c´erano mai state. Lì, disse, c´erano due leoni di San Marco in pietra, laggiù c´era l´affresco di un labirinto già commissionato a Hugo Pratt, lassù il lampadario di Venini nel segno dell´onda, lì in fondo i mosaici color azzurro e oro. «C´era», ripeté più volte, ma il senso era: «Ci sarebbe dovuto essere, nei piani originali». Ma i piani, e di conseguenza i pagamenti dei lavori, erano stati interrotti dal fallimento, e ora si aspettava il tocco magico di qualche grande firma per rilanciare il mammut di Sacca Sessola nella costellazione degli hotel di super-lusso.
Vento, silenzio, eco di passi nei corridoi. Fuori, il roteare di una poiana. Anche lì, alla vita vera di uno spazio legato al territorio si era sostituito il disegno asettico di un potere lontano e incommensurabile, un potere apolide che con decisioni prese altrove determinava nascite e abbandoni di isole e interi territori. Venezia con il troppo pieno di turisti era solo una finzione, la Fata Morgana di un mondo estinto. La verità era Sacca Sessola, l´albergo vuoto dal lindore farmaceutico e un po´ megalomane delle banche straniere, simbolo di un´Italia sotto tutela. E intanto folle di ombre attraversavano i vialetti, le terrazze, le darsene, i giardini. Sentii risatine femminili e altri echi della sontuosa festa d´inaugurazione, poi d´un tratto vidi di spalle la figura magra di Corto Maltese fra ufficiali di marina, e a distanza mi parve anche di cogliere il passo incerto di due malati in pigiama sotto gli ippocastani. Alla fine ce ne andammo, celebrando a bassa voce il funerale di un mondo che si era estinto in meno di un decennio.
Paolo Dei Rossi ci aspettava col suo bragozzo; era stato guardiano alla Sessola, e ora ci portava alle Grazie, ospedale-monastero arroccato su un´isola anch´essa perfettamente vuota. La Laguna era piena di lazzaretti e fortezze ceduti a privati, e Le Grazie era stata comprata da un gruppo quotato in Borsa con la solita idea di farne un albergo e centro-congressi. Come alla Sessola, un luogo aperto ai tanti era stato comprato per appartenere a pochi, col risultato di diventare terra di nessuno. Ma alle Grazie non si era costruito nulla, e l´ospedale era subito diventato foresta vergine e rovina. Nel ‘79 Paolo vi aveva portato gli ultimi malati e ricordò il profumo di pane fresco che usciva allora dal forno. Quando ci avvicinammo alla riva coperta di vegetazione per legare gli ormeggi, ci accolsero brandelli di cartelle cliniche sbattute dal vento, seggiole, carriole e i manifesti di convegni estinti. L´isola era stata abbandonata da vent´anni, e pareva un secolo. Attraccò anche una barca di vogatori e uno di loro, Paolo Bartulli, classe 1935, mi parve esemplificare la dimestichezza veneziana con le rovine. Si mosse sapientemente tra ruderi e sterpaglia, si installò con gli amici attorno a un tavolo reso marcio dalle intemperie, vi allestì un picnic di polenta a seppie e mi offrì un bicchiere di passito. Anche lui era stato ricoverato alle Grazie. «Avevo tredici anni e avevo una bella scarlattina. L´infermiera mi insegnò a giocare a briscola. E lessi montagne di libri, anche proibiti». Trovai archivi devastati e il busto agghiacciante di un nano appeso a un albero. Poi, in mezzo alla menta, al rosmarino e roseti selvatici, due pozzi del tardo medioevo. Intorno passavano fantasmi di naviganti, pescatori, soldati, monaci, appestati. Parevano cose vive di fronte al nulla dell´era globale.
(16 – continua)
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