L’incontro nel ’47, la fine nel 2007 Gorz non volle sopravviverle Quando a Losanna i loro sguardi si incrociarono per la prima volta, durante l’improbabile partita a poker organizzata da un comune amico, André Gorz pensò: «Non ho alcuna chance». In effetti ne aveva poche, visto che l’ospite si era premunito di avvisare Dorine, giovane e bellissima inglese appena sbarcata sul continente, che «è un ebreo austriaco del tutto privo di interesse».
L’incontro nel ’47, la fine nel 2007 Gorz non volle sopravviverle Quando a Losanna i loro sguardi si incrociarono per la prima volta, durante l’improbabile partita a poker organizzata da un comune amico, André Gorz pensò: «Non ho alcuna chance». In effetti ne aveva poche, visto che l’ospite si era premunito di avvisare Dorine, giovane e bellissima inglese appena sbarcata sul continente, che «è un ebreo austriaco del tutto privo di interesse».
E invece lei si accorse di lui. Un mese dopo, André la vide da lontano mentre usciva dal lavoro. «Ho corso per raggiungerti, camminavi veloce — scrive Gorz —. Aveva nevicato e la pioviggine ti arricciolava i capelli. Senza crederci troppo, ti ho proposto di andare a ballare. Hai risposto sì, why not, semplicemente. Era il 23 ottobre 1947». Non si lasciarono mai più, fino al giorno della morte di entrambi, il 22 settembre 2007, nella loro casa di campagna di Vosnon, a due ore d’auto da Parigi.
Nato a Vienna nel 1923 con il nome di Gerhard Hirsch, poi diventato Gérard Horst quando il padre ebreo si convertì al cattolicesimo per evitare le persecuzioni, Gorz in Francia era solito usare lo pseudonimo di Michel Bosquet, come quando nel 1964 fondò assieme a Jean Daniel e a Claude Perdriel il settimanale della sinistra Le Nouvel Observateur. Grande intellettuale di formazione marxista ed esistenzialista, amico di Jean-Paul Sartre che scrisse la prefazione del suo ponderoso trattato filosofico «Il traditore», anima della rivista sartriana Les Temps Modernes dal 1967 al 1974, sostenitore del ’68 e poi teorico dell’ecologia politica, André Gorz fu un uomo dalle molte anime e un unico amore: Dorine, alla quale restò fedele per sessant’anni. Il matrimonio, che pure all’inizio lui non voleva per ideologia antiborghese, fu forse l’opera migliore della sua vita, tanto che il serio e inflessibile Gorz ha conosciuto il successo popolare un anno prima della fine scrivendo «Lettera a D. Storia di un amore» (Sellerio), settanta straordinarie pagine dedicate alla moglie morente.
Una lettera d’amore che comincia così: «Stai per compiere ottantadue anni. Sei rimpicciolita di sei centimetri, non pesi che quarantacinque chili e sei sempre bella, elegante e desiderabile. Sono cinquantotto anni che viviamo insieme e ti amo più che mai. Porto di nuovo in fondo al petto un vuoto divorante che solo il calore del tuo corpo contro il mio riempie». Una lettera d’amore scritta a 83 anni, piena di aneddoti lievi e di ricordi della giovinezza. André e Dorine vanno insieme al cinema a vedere «Il diavolo in corpo» con Gérard Philipe, e si divertono a ripetere nella realtà la scena in cui l’eroina chiede al sommelier di cambiare bottiglia perché «il vino sa di tappo». «Quella volta ho ammirato il tuo sangue freddo e la tua disinvoltura, e mi sono detto: “Siamo fatti per intenderci”». Dopo tre o quattro appuntamenti, il primo bacio.
«Non avevamo fretta. Ho denudato il tuo corpo con delicatezza. Ho scoperto, coincidenza miracolosa del reale con l’immaginario, la Venere di Milo fatta carne. La lucentezza perlacea del seno ti illuminava il viso. Ho contemplato a lungo, in silenzio, quel miracolo di forza e dolcezza. Ho capito con te che il piacere non si dà o si prende. È questione di donarsi. E noi ci siamo donati l’uno all’altra interamente. Nelle settimane successive ci siamo visti quasi tutte le sere. Hai diviso con me il vecchio divano sfondato che mi faceva da letto. Era largo non più di 60 centimetri e dormivamo stretti l’uno all’altro. A parte il divano, la mia camera non conteneva altro che una libreria fatta di scaffali e mattoni, un grande tavolo pieno di carte, una sedia e un riscaldamento elettrico. Non ti sorprendevi della mia vita monacale, e io non mi sorprendevo che tu la accettassi».
«Lettera a D.» non sarebbe così straordinaria senza le pagine di scuse, quelle in cui Gorz chiede perdono per la parte meno nobile di sé, che molti decenni prima gli aveva fatto descrivere la moglie con sufficienza, come una persona mediocre, incapace per esempio di imparare in fretta il francese, e totalmente sperduta senza di lui. Quando invece, dei due, era Dorine la più brillante, forte, spiritosa, indipendente, ed era soprattutto André in realtà a non potere vivere senza di lei. A 83 anni, Gorz riconosce di avere sfiorato, con quelle cattiverie, il baratro dell’infelicità facendo quasi naufragare il matrimonio: non perché il suo amore fosse mai venuto meno, ma per il bisogno che certe persone hanno di farsi del male. «Sono a mio agio nell’estetica dell’insuccesso e dell’annientamento, non in quella della riuscita e dell’affermazione», spiega Gorz. Ma Dorine — intelligente e salda — ha compiuto pazientemente negli anni il miracolo di strapparlo al cupio dissolvi. «Spio il tuo respiro, la mia mano ti sfiora — conclude infine Gorz —. Ciascuno di noi vorrebbe non dover sopravvivere alla morte dell’altro. Ci siamo spesso detti che se, per assurdo, avessimo una seconda vita, vorremmo trascorrerla insieme».
Un anno dopo quella lettera André e Dorine si sono dati la morte. Distesi nel letto, uno accanto all’altra.
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