Il surfista dell’anima

In un certo senso fu per lui la cosa più normale che gli potesse capitare dopo morto: sei grammi delle sue ceneri spedite con un razzo nello spazio. Così Timothy Leary concluse, in maniera eclatante, la sua vita. Che non fu né lunghissima, ma neppure breve.

In un certo senso fu per lui la cosa più normale che gli potesse capitare dopo morto: sei grammi delle sue ceneri spedite con un razzo nello spazio. Così Timothy Leary concluse, in maniera eclatante, la sua vita. Che non fu né lunghissima, ma neppure breve.

Se ne andò, nel 1996, settantacinquenne dopo che gli fu diagnosticato un cancro alla prostata. Ma prima di raccontare la sua fine che si circondò di effetti speciali, occorre fare un passo indietro. Tornare a quell´America degli anni Trenta, quando fu mandato a studiare presso una scuola di gesuiti. Si può capire la propria vocazione in tanti modi. Tim realizzò immediatamente che il rigore, la disciplina e quella subdola inclinazione machiavellica che si nascondeva nei seguaci di Ignazio di Loyola non era esattamente ciò a cui il giovane puntava.
era inquieto, curioso, indisciplinato e dotato di una bellezza segaligna che sarebbe diventata tipica in certi ambienti hippy degli anni Sessanta. Era soprattutto un conversatore. Sarebbe stato un brillante avvocato. Ma preferì laurearsi in psicologia ad Harvard, dove cominciò la sua carriera di insegnante.
Ora, immaginate gli anni Cinquanta, il solido perbenismo dell´American Way of Life, il benessere che esplode e contagia orizzontalmente più di una classe, l´etica intransigente che guida le azioni di un paese. È in questo crogiolo di sentimenti e aspettative tradizionali che la Beat Generation – con i suoi poeti, i suoi scrittori, figure che sarebbero diventate le vestali dei decenni successivi – inizia la sua opera di demolizione letteraria e civile di un paese ritenuto troppo conformista. Anche Leary avvertiva il morso del conformismo. Non aveva una grande opinione del proprio operato di psicologo. Si sentiva un travet dell´anima. Racconta che fu una vacanza in Messico a cambiargli la vita. L´uso di certi funghi allucinogeni – presi per curiosità e perché aveva letto Le porte della percezione di Aldous Huxley (un vero trattato sulla dimensione profonda della mente) – gli aprì un nuovo mondo.
Tornato alla comoda civiltà americana cominciò gli esperimenti con le sostanze allucinogene. Si mise a studiare gli effetti della psilocibina, un alcaloide presente in alcuni funghi. Harvard, improvvisamente, divenne il laboratorio dove sperimentare sostanze che, solo qualche anno dopo, sarebbero state proibite. Leary venne a sapere che in Europa, Albert Hofmann, nei laboratori svizzeri della Sandoz, aveva casualmente scoperto l´Lsd. Una sostanza simile, nei risultati, ai funghi assunti in Messico, ma molto più potente e soprattutto ricavata artificialmente. Né Leary né Hofmann credevano che l´Lsd fosse uno strumento di evasione, bensì di conoscenza, di ampliamento di quella percezione che già nell´Ottocento poeti come Baudelaire o scrittori come De Quincey avevano sperimentato con l´hashish. Ma Leary – diversamente da Hofmann che dopotutto era un vero scienziato – immaginò che l´assunzione dell´Lsd sarebbe stata un´eccellente terapia per la cura di depressi, alcolisti, e criminali, e che il suo uso liberalizzato avrebbe dato alla società americana nuovi valori spirituali.
Fu buttato fuori da Harvard per i suoi esperimenti considerati deleteri. Qualche anno dopo, ormai braccato dall´Fbi, fu lo stesso Nixon a dargli l´aureola di martire, definendolo l´uomo più pericoloso d´America. L´aneddotica ricorda gli anni di galera, la fuga prima in Africa poi in Europa, l´incontro con Hofmann in Svizzera, di nuovo la cattura e poi quella voce insidiosa secondo la quale gli furono condonati parecchi anni di prigione in cambio della collaborazione con l´agenzia governativa. In pratica spifferò all´Fbi un po´ di nomi di amici coinvolti nell´uso di sostanze allucinogene.
Direte che questa fu la fine ingloriosa di Timothy Leary. Vi sbagliate. Gli anni Sessanta e Settanta ne amplificarono la popolarità grazie alla penetrazione che l´Lsd e sostanze simili ebbero tra gli studenti, gli attori, gli artisti e gli scrittori. Burroughs e Ginsberg divennero i suoi santi protettori, John Lennon restò affascinato dalla sua multiforme personalità. E i Moody Blues, gli dedicarono Legend of a Mind.
Leary fu un impasto di eversività, creatività e di fumosa cialtroneria. Aveva il talento di arrivare cinque minuti prima degli altri sul farsi di un nuovo evento. Quando negli anni Novanta i computer si imposero definitivamente, Leary se ne uscì con una mezza verità. Disse che il Pc era il nuovo Lsd. William Gibbons e la sua cultura cyberpunk prese il posto degli ormai sorpassati protagonisti della Beat Generation.
Morì, come ricordavamo all´inizio, alla grande. Come un piazzista si mise a discettare sulla bellezza della morte. Una telecamera lo filmò negli ultimi giorni di vita mentre da una sedia a rotelle freneticamente rilasciava interviste e sentenze. La sua casa era diventata un via vai continuo di gente la più diversa. Paragonò la propria morte a una finale del Super Bowl. Non era un individualista. Credeva nell´esaltazione del caos, nel rispetto delle leggi della leggerezza, nell´illuminazione interiore e nel surfing cerebrale come sport di squadra. Per essere un americano fu piuttosto insolito.

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