Là immagine di De Gasperi e della Dc che ha lungamente dominato la cultura politica del Pci fu elaborata da Togliatti in un ampio scritto pubblicato in sei puntate su Rinascita fra il 1955 e il 1956. Lo scritto, del resto assai noto, aveva un titolo quantomai significativo: «È possibile un giudizio equanime sull'opera di Alcide De Gasperi?». Ma sarebbe del tutto fuorviante pensare che rispecchi il giudizio che aveva guidato Togliatti negli anni della collaborazione tra i due statisti che posero le basi della guerra di liberazione e della Repubblica. ">

Il De Gasperi che il Pci ha capito solo dopo

de gasperi 304

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Là immagine di De Gasperi e della Dc che ha lungamente dominato la cultura politica del Pci fu elaborata da Togliatti in un ampio scritto pubblicato in sei puntate su Rinascita fra il 1955 e il 1956. Lo scritto, del resto assai noto, aveva un titolo quantomai significativo: «È possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide De Gasperi?». Ma sarebbe del tutto fuorviante pensare che rispecchi il giudizio che aveva guidato Togliatti negli anni della collaborazione tra i due statisti che posero le basi della guerra di liberazione e della Repubblica.

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Là immagine di De Gasperi e della Dc che ha lungamente dominato la cultura politica del Pci fu elaborata da Togliatti in un ampio scritto pubblicato in sei puntate su Rinascita fra il 1955 e il 1956. Lo scritto, del resto assai noto, aveva un titolo quantomai significativo: «È possibile un giudizio equanime sull’opera di Alcide De Gasperi?». Ma sarebbe del tutto fuorviante pensare che rispecchi il giudizio che aveva guidato Togliatti negli anni della collaborazione tra i due statisti che posero le basi della guerra di liberazione e della Repubblica. Per ricavarlo occorre piuttosto guardare, innanzitutto, alle scelte che caratterizzarono la politica di Togliatti dal suo rientro in Italia, nel marzo del ’44, alla «rottura politica» del maggio ’47; in secondo luogo alle successive posizioni del Pci sulle scelte fondamentali di De Gasperi fino al termine della prima legislatura.

L’ALLEANZA ANTIFASCISTA
Vorrei provare a sostenere che, negli anni immediatamente successivi al suo rientro in Italia, Togliatti fosse consapevole che il ruolo eminente nella politica italiana spettasse alla Democrazia Cristiana, che abbia favorito il disegno di De Gasperi di farne il partito dell’«unità politica dei cattolici» e puntato sulla sua figura per garantirne l’ispirazione antifascista e l’impegno ad ancorare la Chiesa alla scelta della democrazia. Non posso addentrarmi nella ricostruzione dei fondamenti della sua strategia; mi limiterò a ricordare il quadro internazionale della Grande Alleanza che le forniva legittimazione e credibilità, e l’opzione per una formula di governo che, successivamente, una mediocre politologia avrebbe definito «democrazia consociativa». Mentre nel pensiero di Togliatti aveva a che fare con la ricerca di nuovi modelli di socialismo. (…) Il progetto del «partito nuovo», basato sulla eliminazione di qualunque vincolo ideologico e sulla richiesta, per l’adesione al Pci, della sola condivisione del programma, apriva il partito alla collaborazione tra credenti e non credenti. (…) Vorrei ricordare infine la posizione di Togliatti sulla successione a Parri… e soprattutto le motivazioni con cui sostenne la successione di De Gasperi. Il punto sostanziale dell’intesa tra loro era l’opzione per una democrazia parlamentare fondata sul ruolo preminente dei partiti popolari.

(…) Nella conferenza del ’61 su «Il partito comunista e il nuovo stato», concludendo l’esame dei risultati conseguiti con la svolta di Salerno, osservava che, senza quella svolta, «ben difficilmente i partiti della sinistra e forse la stessa Dc sarebbero riusciti ad avere quello sviluppo impetuoso che hanno avuto e che rimane una delle originalità dell’attuale situazione italiana». Una nuova fase del suo rapporto con De Gasperi cominciò, come è noto, con l’estromissione delle sinistre dal governo nel maggio del ’47. Togliatti sapeva che con l’avvento della guerra fredda non ci sarebbero potute tornare. (…) Questo scenario creava una disparità incolmabile tra De Gasperi e Togliatti, tra la Dc e il Pci. (…)Ad ogni modo è in questo quadro che si collocano gli atti più significativi della collaborazione del Pci alla costruzione della democrazia repubblicana: il voto a favore dell’articolo 7 della Costituzione, l’atteggiamento sulla ratifica del trattato di pace e il suo contributo alla stesura della Carta costituzionale quando già era stato estromesso dal governo. Sul voto dell’articolo 7 è tuttora diffusa l’opinione che si sia trattato di un’operazione abile e strumentale, e c’è persino chi ha scritto che era stata concepita per bloccare l’estromissione dei comunisti dal governo. Ho cercato più volte di argomentare in altre sedi come quel voto si inserisse in una visione del rapporto tra religione e politica che costituì uno dei tratti distintivi del Pci togliattiano nel panorama del comunismo internazionale. Qui piuttosto vorrei sottolineare che, come Togliatti ricordò nella citata conferenza del ’61, la posizione del Pci sulla questione cattolica, innovatrice rispetto alla stessa impostazione gramsciana, era scaturita dalla considerazione che, dopo il fascismo, con l’appoggio della Chiesa, sarebbe nato «un forte partito cattolico»; inoltre, aveva letto le Idee ricostruttive (opuscolo clandestino della Dc, ndr) e vi aveva riscontrato «un programma molto avanzato nella stessa direzione che era la nostra».

DOPO LA MORTE
Un’immagine riflessiva di De Gasperi fu elaborata dai comunisti dopo la sua morte e fu anch’essa opera di Togliatti. Il profilo che ne disegnò, nel saggio del ’55-’56, è quello di un nemico piuttosto che di un avversario. Il saggio ha il respiro di una ricostruzione storica, sia pure per grandi linee. (…) Al giudizio di «restaurazione capitalistica» Togliatti faceva seguire quello di continuità con lo Stato corporativo. (…) In estrema sintesi, nell’Europa degli anni Trenta divisa, secondo Togliatti, dall’alternativa tra fascismo e comunismo, De Gasperi era stato «un esecutore obbediente e zelante» dell’orientamento della Chiesa, disponibile al compromesso col fascismo ma mai con il comunismo o il socialismo.(…)

Ai giudizi sui contenuti economici del centrismo degasperiano segue quello sulle sue caratteristiche politiche, sintetizzato nella formula «una democrazia che scivola verso la reazione». (…) La formula… oscillava tra l’aspetto politico, esemplificato dal carattere anticomunista e antisindacale del governo, e quello istituzionale, rappresentato dal mantenimento della legislazione penale fascista, dai disegni di legge del ’52, restrittivi delle libertà di stampa, sindacali e di sciopero, e soprattutto dalla legge elettorale maggioritaria… Infine contestava l’europeismo di De Gasperi sostenendo, in linea con le posizioni sovietiche, che l’integrazione europea fosse irrimediabilmente ipotecata dal disegno egemonico americano sull’Europa.

A quasi cinquant’anni da quando questi giudizi furono formulati, non è il caso di argomentare l’erroneità di molti di essi e soprattutto della formula che li compendiava. Conviene piuttosto domandarsi il perché del loro carattere così accentuatamente unilaterale e liquidatorio. (…) A me pare che la coloritura liquidatoria del giudizio su De Gasperi e lo sforzo di argomentare storicamente che la Dc avesse un futuro corrispondente alla sua ispirazione originaria solo in un rapporto solidale con il movimento operaio fossero motivati dall’intenzione di parlare alla nuova generazione democristiana che si andava affermando in quegli anni.(…) L’ambizione storiografica del saggio era dunque finalizzata a gettare le basi di una nuova stagione politica e di una nuova strategia, e le tendenziosi dà dell’interpretazione e l’asprezza dei giudizi erano funzionali a questo scopo.

(…) Riassunta nello slogan della Dc «partito dei padroni» e «partito americano», quell’analisi non consentiva al suo stesso autore di comprendere che la figura e l’opera di De Gasperi avevano costituito un punto di equilibrio, una sintesi e un elemento identitario in cui si riconoscevano tutte le correnti democristiane e avrebbero continuato a riconoscersi sino alla fine della Dc. Nel 1974 Pietro Scoppola pubblicò su il Mulino il saggio su De Gasperi e la svolta politica del 1947 che tre anni dopo sarebbe diventato l’ultimo capitolo de La proposta politica di De Gasperi. Da esso prese spunto Giorgio Amendola per avviare una revisione dello schema togliattiano… Scoppola aveva affermato che la rottura del ’47 era stata condotta in modo da «non sospingere i comunisti verso una opposizione al governo ma al sistema»; Amendola aggiunse informazioni ed elementi di valutazione che lo confermavano e arricchivano. Egli argomentava che dal giugno ’46 Togliatti, consapevole dell’imminenza della guerra fredda, aveva inasprito i toni della polemica contro il governo per prepararsi alla rottura e, pur cercando di rallentarne i tempi, aveva però inteso favorirla. Inoltre, accennando vagamente a testimonianze personali, suggeriva l’idea che De Gasperi e Togliatti avessero in qualche modo pilotato insieme la rottura. Nelle due recensioni del ’77 arricchì le analisi e le testimonianze dando impulso all’abbandono del paradigma togliattiano: un abbandono inizialmente parziale, ma poi sempre più completo. (…)

Nel concepire la sua revisione, Amendola aveva potuto giovarsi dei contributi significativi della storiografia cattolica, ma ad essi non corrispondeva un impegno minimamente paragonabile della storiografia comunista e «di sinistra»(…) il processo di revisione rimase un fatto d’élite, mentre nel senso comune dei militanti e degli elettori comunisti e di sinistra continuò – e forse continua – a prevalere l’immagine della Dc «partito americano» e «partito dei padroni».

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