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Il codice hip hop nei suoni dei ghetti la rivolta di Londra

Dietro i riots che hanno squassato le città  inglesi c’è una intera comunità  nera di giovani. Sono loro che da anni cantano nelle rime delle canzoni il disagio e il duro prezzo da pagare alla crisi.  Bizzle: “Siamo noi a sapere quando la temperatura nelle città  sale non Cameron” Professor Green: “Questa musica non incita all’odio ma unisce le classi meno abbienti” 

Dietro i riots che hanno squassato le città  inglesi c’è una intera comunità  nera di giovani. Sono loro che da anni cantano nelle rime delle canzoni il disagio e il duro prezzo da pagare alla crisi.  Bizzle: “Siamo noi a sapere quando la temperatura nelle città  sale non Cameron” Professor Green: “Questa musica non incita all’odio ma unisce le classi meno abbienti” 

«Se vuoi davvero sapere cosa succederà a Londra non devi ascoltare i politici, ma i rapper. Sono loro i veri ministri di questo Paese». Maxwell Ansah è londinese, ha solo ventinove anni, ma fa hip hop da oltre dieci con il nome di Lethal Bizzle. Nel 2006, quando in un´intervista l´allora non ancora Primo Ministro David Cameron aveva accusato il rap di incoraggiare i ragazzi a usare pistole e coltelli, Ansah gli aveva scritto una lettera aperta spiegandogli che invece di voltare le spalle ai ragazzi delle classi sociali più povere, avrebbe dovuto aiutarli, altrimenti sarebbero arrivati grossi problemi. Cinque anni dopo la profezia di Bizzle si è avverata nel peggiore dei modi con i riots londinesi, ma bastava leggere i testi di alcuni dei più influenti artisti hip hop inglesi degli ultimi dieci anni per capire cosa sarebbe successo.
Lo stesso Bizzle, che in uno dei suoi video si fa arrestare dalla polizia, lo aveva cantato in Babylon´s Burning The Ghetto, mentre Nathaniel Thompson in arte Giggs, altro londinese cresciuto per le strade di Peckham, prima di finire in carcere per possesso di armi, due anni fa in Slow Songs aveva raccontato la sua vita tra furti, arresti e sussidi sociali. «Il problema» spiega Bizzle «è che se vedi solo la Londra di Oxford Street non capisci cosa succede a Tottenham, Chapham o in altri quartieri. Nessuno può puntare il dito su quello che è successo se non sa di cosa sta parlando». Rap, hip-hop, ma anche e soprattutto grime, un nuovo stile che unisce elementi di diversi generi: ogni tappeto sonoro va bene agli MC londinesi per sfogare la propria rabbia e raccontare in rima le amarezze di ogni giorno. Come da anni fa Tayo Jarrett in arte Scorcher che agli scontri di Londra è legato da un precedente inquietante: sua nonna era Cynthia Jarrett, la cui morte, causata dalla polizia nel 1985, diede il via alla battaglia di Broadwater Farm. «Ventisei anni fa la polizia ha ucciso mia nonna», ha scritto sul suo account di Twitter «e ora è toccato a Mark Duggan. Ma il metodo è sempre lo stesso».
Dal punto di vista sociologico anche nel caso inglese l´hip hop si è rivelato ancora una volta come l´unico genere musicale capace di agire da cartina tornasole e riflettere i mutamenti della società. E non solo per quanto riguarda la colonna sonora, ma anche l´aspetto (quasi tutti i rioter erano abbigliati da rapper, con felpa e cappuccio a nasconderne l´identità) e il linguaggio: negli sms che si spedivano i rioter comunicavano in codice utilizzando, come fa il rap, termini linguistici presi da vari contesti, da quello scolastico a quello gergale, fino a quello codificato da serie televisive come The Wire o i Soprano. «La verità? Abbiamo più influenza noi sui ragazzi di quanto non abbiano politici e scuola» continua Bizzle «noi sappiamo quando sta salendo la temperatura, non Cameron che ci ha messo tre giorni a tornare a Londra dalle vacanze in Toscana».
Nessuno all´interno della vasta (e frammentata) comunità rap giustifica i saccheggi e le violenze, ma tutti sanno che la situazione, tra disoccupazione e crisi, è più articolata di come la si dipinge. Come cantano artisti come Master Shortie, Skepta o 2K Olderz che nella sua They Will Not Control US, scritta subito dopo gli eventi di Londra, dice: «Distruggiamo quello che, giorno dopo giorno, ci sta distruggendo». E così lo scontro, finito sulle strade, è destinato a farsi feroce tramite Facebook, Twitter e YouTube: qualche giorno fa un giornalista del Daily Mirror, Paul Routledge, ha attaccato frontalmente la cultura dell´odio del rap chiedendo che la musica hip-hop sia ufficialmente bandita dalle radio, ricevendo la replica immediata di un altro artista di Hackney, Professor Green, via Twitter: «Qui non si tratta di scaricare la colpa su qualcuno, ma di accettare le proprie responsabilità. Il rap non incita all´odio, ma unisce le classi meno abbienti. I problemi reali iniziano quando le persone non si sentono più parte di una comunità».
Un confronto generazionale e culturale che però non è nuovo, anzi, ha radici molto lontane: quando nel 1958 i Teddy Boys misero a ferro e fuoco Londra fu il neonato rock a salire sul banco degli imputati come capro espiatorio, mentre nel 1976 con il Carnevale di Notting Hill finito in rissa e cento poliziotti feriti negli scontri, il primo movimento a essere incolpato fu il punk. Cambia la musica, ma il sistema rimane sempre lo stesso.

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