Dopo il Ferragosto in carcere

La drammaticità  della situazione è stata espressa in maniera inequivocabile dal Presidente Napolitano al Convegno promosso dai radicali alla fine di luglio (ribadita in occasione della mobilitazione di denuncia “Ferragosto in carcere”): quella della condizioni delle nostre carceri, «che definire sovraffollate è quasi un eufemismo», è «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile»; «una realtà  che ci umilia in Europa», «non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita», frutto di «oscillanti e incerte scelte politiche e legislative … tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione».

La drammaticità  della situazione è stata espressa in maniera inequivocabile dal Presidente Napolitano al Convegno promosso dai radicali alla fine di luglio (ribadita in occasione della mobilitazione di denuncia “Ferragosto in carcere”): quella della condizioni delle nostre carceri, «che definire sovraffollate è quasi un eufemismo», è «una questione di prepotente urgenza sul piano costituzionale e civile»; «una realtà  che ci umilia in Europa», «non giustificabile in nome della sicurezza, che ne viene più insidiata che garantita», frutto di «oscillanti e incerte scelte politiche e legislative … tra tendenziale, in principio, depenalizzazione e “depenitenziarizzazione”, e ciclica ripenalizzazione».
Nello stesso giorno, in una intervista al Corriere della sera, il neo-Ministro della giustizia Nitto Palma, dimentica il “piano (di costruzione di nuove) carceri” del suo predecessore e annuncia che darà «priorità al problema del sovraffollamento attraverso un programma di depenalizzazione dei reati minori», perché «l’ inefficienza dell’ elefantiaca macchina della giustizia dipende dall’ eccessiva criminalizzazione …. E questo ha un riflesso drammatico sulla condizione di vita nelle carceri».
Depenalizzazione e decarcerizzazione, dunque. Nella successione degli interventi durante il Convegno radicale non si apprezzavano dissensi. Ma allora perché quelle scelte «oscillanti e incerte»? Perché la «ciclica ripenalizzazione»? Forse sarebbe bastato aspettare una settimana, e ascoltare le dichiarazioni di voto dei leghisti sul “processo lungo”: tutti a discutere dei processi di Berlusconi, mentre gli imprenditori politici della paura sbandieravano qualche altra norma di segno opposto agli orientamenti emersi nel convegno radicale. Indisturbato, il populismo penale continua a mietere vittime.
Altrove, in Germania e negli Usa per esempio, le politiche d’incarcerazione di massa stanno trovando un limite nelle giurisprudenze costituzionali. Potrebbe essere così anche in Italia, se si prendessero sul serio le leggi e la Costituzione e se non si ritenessero i detenuti “non persone”.
Se è vero che quasi la metà dei 67000 detenuti sono in attesa di giudizio e, secondo una corale opinione, la carcerazione preventiva va ricondotta a livelli europei (e cioè ridotta della metà); se è vero che la gran parte dei detenuti è in circuiti di media o minima sicurezza; se è vero che più del 60% dei detenuti condannati sconta pene inferiori a tre anni, e dunque sarebbe ammissibile alle alternative alla detenzione; se tutto ciò è vero, chi lo ha detto che uno Stato sull’orlo del default deve spendere centinaia di milioni di euro (661 già stanziati; ma almeno il triplo necessari) per avere 70000 posti detentivi?
Per dare seguito alle parole del Presidente della Repubblica, va tracciata una riga: i 45mila posti-letto regolamentari nelle carceri italiane sono il giusto per noi. Basta prendere sul serio il principio più volte ribadito dalla Corte costituzionale secondo cui i detenuti restano titolari di tutti i diritti fondamentali non necessariamente compressi dalla privazione della libertà e stabilire che oltre la capienza regolamentare in carcere non si entra, in attesa dal proprio turno.

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