Veterani nazisti senza pace

  Una cinquantina di antifascisti berlinesi ha protestato ieri nel quartiere dove abita il 91enne Helmut Odenwald, uno dei sette reduci della divisione Hermann Gà¶ring condannati in contumacia il 6 luglio a Verona per una serie di stragi negli Appennini. Trovano insopportabile l’impunità  garantita dalla Repubblica federale tedesca a lui e ai suoi colleghi, anche ai 17 le cui condanne all’ergastolo sono ormai definitive in Italia. Chiedono che vengano estradati per scontare la pena, salute permettendo.

  Una cinquantina di antifascisti berlinesi ha protestato ieri nel quartiere dove abita il 91enne Helmut Odenwald, uno dei sette reduci della divisione Hermann Gà¶ring condannati in contumacia il 6 luglio a Verona per una serie di stragi negli Appennini. Trovano insopportabile l’impunità  garantita dalla Repubblica federale tedesca a lui e ai suoi colleghi, anche ai 17 le cui condanne all’ergastolo sono ormai definitive in Italia. Chiedono che vengano estradati per scontare la pena, salute permettendo.
La Germania né istruisce processi – con l’eccezione di Josef Scheungraber, condannato anche a Monaco, e che resta però libero in attesa di interminabili perizie mediche – né concede l’estradizione, possibile solo col consenso dei condannati. Tantomeno la signora Merkel è disposta a indennizzare i familiari delle 390 vittime della divisione Göring (il tribunale di Verona ha disposto provvisionali per circa 30 milioni di euro), anzi ha citato l’Italia innanzi alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, perché le richieste di risarcimento violerebbero la «sovranità» tedesca.
Il ministro della giustizia Alfano acconsente alla tacita amnistia, e quindi rifiuta anche solo di chiedere l’esecuzione in Germania delle sentenze penali italiane, pur prevista dagli accordi europei.
I dimostranti tedeschi vogliono almeno rompere il silenzio, creare qualche imbarazzo ai pensionati impenitenti, infrangere la loro aurea di rispettabilità. Il capitano Helmut Odenwald, nato il 15 dicembre 1919 a Philippsburg in Baden-Württemberg, comandava la 10° batteria di artiglieria contraerea della divisione Göring. Anche il suo reparto partecipò agli eccidi. I giudici di Verona gli hanno comminato tre ergastoli per le stragi nel modenese (132 vittime a Monchio, Susano e Costrignano), nelle province di Firenze (14 morti il Ceppetto e Cerreto Maggio) e di Arezzo (almeno 200 morti tra Vallucciole e altre otto località attorno al monte Falterona).
L’indirizzo, Becherweg 21, 13047 Berlin, è riportato nel dispositivo della sentenza, da qualche giorno su internet. Siamo nel quartiere di Reinickendorf, nel nord-ovest di Berlino, non lontano dalla caserma che ospitava la divisione intestata al maresciallo Göring. Una stradina tranquillissima, palazzine di tre piani con molto verde intorno. Il cartellino col cognome è accanto al pulsante del campanello. Gli «Antifa» avrebbero voluto piazzarsi nelle immediate vicinanze, all’incrocio col Lübener Weg. La polizia gli ha imposto di spostarsi di trecento metri, e di non nominare per esteso il condannato, clausola rotta almeno tre volte da chi interveniva al microfono: «La polizia ci dice che non possiamo fare il nome di Helmut Odenwald …». La frittata è fatta, ora chi vuol sapere sa.
Mentre a Berlino si contesta la colpevole impunità, in Italia è apparso il 9 luglio sul Fatto quotidiano un allucinante commento di Massimo Fini: a suo avviso il processo di Verona, a 67 anni dai fatti, «più che il sapore della giustizia ha quello della rappresaglia». Il giornale non ha ancora trovato il coraggio di pubblicare le repliche inviategli tra gli altri da Sergio Fogagnolo, figlio di un partigiano giustiziato a Piazzale Loreto, da Marcella De Negri, figlia di un militare ucciso a Cefalonia, e dal procuratore militare Marco De Paolis.

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