Un sovrano senza luogo e in cerca di legittimità 

FILOSOFIA «Sfide globali per il Leviatano», un saggio di Furio Cerutti

L’incerto governo di fenomeni che mettono in pericolo la vita umana come il cambiamento climatico e la proliferazione degli arsenali nucleari

FILOSOFIA «Sfide globali per il Leviatano», un saggio di Furio Cerutti

L’incerto governo di fenomeni che mettono in pericolo la vita umana come il cambiamento climatico e la proliferazione degli arsenali nucleari

 Come si deve rapportare la teoria politica al tema dei grandi rischi planetari che, come gli incidenti nucleari o il riscaldamento globale, potrebbero sconvolgere le condizioni di vita sulla terra? Su questo nodo tanto decisivo quanto (finora) poco approfondito, ragiona in modo molto ampio e dettagliato il filosofo Furio Cerutti nel volume Sfide globali per il Leviatano (sottotitolo: «Una filosofia politica delle armi nucleari e del riscaldamento globale», Vita e pensiero, pp. 290, euro 25). Per affrontare il tema in modo rigoroso, Cerutti comincia col definire in termini inequivocabili quelle che, secondo lui, possono essere specificamente intese come «sfide globali».

Le «sfide globali», nel senso preciso e delimitato che Cerutti dà al concetto, non sono semplicemente dei grandi rischi a scala planetaria: sono piuttosto quelle dinamiche che hanno la potenzialità di intaccare le stesse strutture della civiltà umana e dalle quali pertanto nessun abitante della terra può dirsi al riparo. Per un verso, dunque, globali sono propriamente quelle sfide la cui minaccia coinvolge potenzialmente tutto il genere umano. In secondo luogo, globali sono quei rischi che possono essere disinnescati solo da un’azione concertata su larga scala; situazioni dalle quali non si esce senza una cooperazione che coinvolga, dunque, il genere umano come soggetto. Dopo averle così definite, Cerutti spiega che sono due, attualmente, le situazioni alle quali si applica il concetto di «sfide globali» in senso proprio: il riscaldamento globale e gli arsenali nucleari. In modi diversi, queste due criticità potrebbero dar luogo a una vera e propria catastrofe della civiltà umana che, se non colpirebbe tutti allo stesso modo, sarebbe comunque tale da far sì che nessuno possa esserne al riparo.
Se questi sono i dati dello scenario, allora bisogna riconoscere, continua l’autore, che essi comportano un mutamento radicale di quelle che sono state le coordinate fondamentali della politica moderna e degli Stati che ne erano i protagonisti.
Nella dura e realistica logica del vero fondatore della politica moderna, e cioè Thomas Hobbes (l’autore del Leviatano che Cerutti evoca nel titolo del volume) gli individui dovevano affidarsi allo Stato per sottrarsi al rischio di morte, e questo traeva la sua legittimità dal fatto di garantire la sicurezza, magari anche facendola pagare con la rinuncia a una buona dose di libertà. Nel tempo delle sfide globali, però, gli Stati non sono più in grado di adempiere a questo compito, e quindi è la loro stessa ragione sociale a entrare in crisi. «Se lo Stato non è in grado di offrire la sicurezza nel cui nome è stato creato (secondo la visione contrattualista), perché mai i cittadini dovrebbero ancora riconoscerlo?».
Ma c’è di più. Con modalità diverse sia lo scenario nucleare sia quello del riscaldamento globale generato dalle emissioni di gas serra nell’atmosfera mettono in crisi proprio il modello della razionalità strategica e autointeressata sul quale si è costruito, a partire da Machiavelli, il concetto dell’agire politico moderno.
I rischi innescati dalle «sfide globali», infatti, sono tali che nessun attore, neanche il più potente e strategicamente efficace, può riuscire a proteggersi sufficientemente da essi. Anche chi dispone degli arsenali più micidiali, non per questo è al sicuro; così come nessuna azione di un singolo Stato può immunizzarlo rispetto a sconvolgimenti che riguarderebbero l’intero clima terrestre. Perciò, di fronte a questi problemi, è la stessa performatività della razionalità strategica che viene meno: siamo di fronte a rischi dai quali ci si può difendere effettivamente solo attraverso una cooperazione concertata e generalizzata (come quella che porterebbe a una progressiva distruzione delle armi nucleari esistenti, da un alto; e dall’altro a una progressiva limitazione delle emissioni che producono il riscaldamento dell’atmosfera).
Ma ciò significa che la logica politica che è stata vigente fino a ieri (quella, per esempio, che Carl Schmitt ha teorizzato nella contrapposizione amico-nemico, ma anche quella della lotta di classe) deve ora fare i conti con una dimensione che le era radicalmente eterogenea: sebbene, come è ovvio, permangano molteplici ragioni di conflitto e di contrapposizione, emergono nondimeno all’ordine del giorno questioni che a questa logica sfuggono, come la difesa dei beni comuni globali (a cominciare dall’atmosfera che circonda la terra) o la tutela delle condizioni di vita delle generazioni future.
Quale politica potrà e saprà farsi carico di queste nuove urgenze? Fedele, come in tutto il suo passato di studioso, a un approccio sobriamente realistico, Cerutti non vuole farsi troppe illusioni: quel cambiamento di mentalità che sarebbe richiesto, è possibile ma non è affatto scontato. Se esso si farà strada, non sarà tanto grazie alla buona volontà dei cittadini o degli Stati; ma piuttosto in seguito al duro impatto delle catastrofi ambientali che già, con sinistra periodicità, abbiamo purtroppo cominciato a sperimentare.

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