Torino, la città  che si risveglia

FOTOGRAFIA Nel Borgo Medievale, l’album delle trasformazioni sociali ed economiche
Le immagini d’archivio raccontano 150 anni di una metropoli destinata all’oblio che, invece, ha saputo rinascere

FOTOGRAFIA Nel Borgo Medievale, l’album delle trasformazioni sociali ed economiche
Le immagini d’archivio raccontano 150 anni di una metropoli destinata all’oblio che, invece, ha saputo rinascere

 TORINO.A guardarne la storia più recente, dall’Unità d’Italia ai nostri giorni, Torino sembra portarsi dietro, addosso, un destino di città eternamente «scippata», ogni volta costretta a ripensarsi diversa, a rinascere. L’inizio di questo destino porta la data del 1864, quando venne deciso lo spostamento della capitale a Firenze. I nostri giorni sono quelli del «nuovo corso» di Marchionne, che agita il fantasma di una Fiat torinese ridotta a poco più di un centro direzionale. In mezzo, 150 anni durante i quali Torino si è vista privata, fra le altre cose, di due realtà che le appartenevano e nelle quali eccelleva: il cinema e la Rai, portate a Roma senza possibilità di ritorno. Di fronte a questi eventi, ogni volta, la città si ammutoliva, scivolava in una sorta di inedia, si lasciava avvolgere dal buio. Trovando, però, ogni volta, l’impulso e il modo di risvegliarsi. In tal senso, periodo importante è quello che va dal 1880 al 1930, cinquant’anni di grandi trasformazioni sociali, economiche e urbane.

Di ciò dà conto la mostra Torino, la città che cambia, negli spazi del Borgo Medievale (tutti i giorni, dalle ore 10 alle 18, ingresso gratuito, catalogo Silvana Editoriale, 35 euro). Divisa in quattro segmenti, La vita quotidiana, Le grandi Esposizioni, Lungo il fiume, Scorci di Torino, la sua realizzazione si deve all’immenso patrimonio (più di 350mila reperti) provenienti dall’Archivio fotografico della Fondazione Torino Musei. Per apprezzare il significato e le finalità dell’evento, occorre, anzitutto e subito, mettere da parte l’equivoco che si tratti di una sorta di «operazione nostalgia», di un «come eravamo» dal sapore vagamente provinciale che la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità contribuirebbe a enfatizzare.
Il significato, le finalità, sono ben altri, e si comprendono passo dopo passo, fermandosi davanti a decine e decine di immagini che ben poco hanno di enfatico, e anzi ritraggono quartieri sventrati, periferie inurbate, gente piegata dalla vita, donne e uomini con la fatica stampata sulla povertà delle facce e dei vestiti. Contributo non piccolo sul piano qualitativo lo danno il luogo e le modalità dell’allestimento. Il Borgo Medievale venne, infatti, costruito nel 1884, per ospitare la sezione di arte antica dell’Esposizione Generale Italiana, che insieme all’Esposizione Nazionale del 1989, la prima Esposizione Internazionale di Arte Decorativa Moderna del 1902 e L’Esposizione Internazionale del 1911, giocheranno un ruolo fondamentale nel rilancio dell’immagine e dell’economia della città. Il percorso si articola per buona parte all’aperto, lungo le recinzioni di un cantiere; nelle stradine e sotto gli archi dei portici, dove sono state collocate gigantografie di gente e situazioni, stampate anche sulla superficie di alcuni stendardi. La sezione «Le grandi Esposizioni» è invece raccolta tra le mura delle sale del Borgo.
Tra il 1864 e il 1868, dopo la perdita del ruolo di capitale, gli abitanti di Torino passano da oltre 220mila a poco più di 30mila. Se ne vanno i politici, la corte reale con il suo entourage; il personale dei ministeri, del parlamento, degli uffici pubblici. E con loro emigrano verso Roma e dintorni imprese, attività commerciali, banche, istituti di assicurazione. Il contraccolpo è l’immobilismo pressoché totale, con il venti per cento di disoccupati e fallimenti a catena nel commercio, nelle piccole imprese di famiglia, nella ristorazione, nell’attività alberghiera.
Nel 1865, il Comune getta le basi di un Risorgimento torinese che, una trentina di anni dopo, inizierà a dare i suoi frutti, non senza passare attraverso altre e drammatiche vicende. L’amministrazione si rivolge a imprenditori italiani e stranieri, promettendo di offrire loro una città rinnovata nelle infrastrutture, nel sistema dei trasporti, nelle risorse energetiche con l’apertura di un canale d’acqua, la Ceronda, per abbattere gli alti costi del combustibile. Da queste premesse si avvierà un lungo processo di trasformazione, che muterà anche e molto il volto urbano di Torino e ne allargherà i confini; che la ripopolerà con le migrazioni dalle province del Piemonte, dal Veneto, dalla Lombardia e, più tardi, dal Sud della penisola. Messaggio esplicito del desiderio di tornare a indossare i panni di protagonista dell’Italia, arriva dall’Esposizione Generale Italiana del 1884, dove tre milioni di visitatori ammirano gli ultimi e mirabolanti brevetti industriali. Ma nulla si fa senza pagare un prezzo, i cui costi sono altissimi soprattutto per gli strati socialmente indifesi. Il miraggio della «nuova città» attrae, muove alla speranza di un futuro, convince ad accettare sacrifici duri. Copione ripetitivo in ogni parte del mondo. Ed è tale prezzo che la mostra documenta, con scelta non ovvia, attraverso le immagini dei bambini e delle donne affacciati ai balconi di case fatiscenti, degli operai arrampicati a costruire un gazometro, di una fabbrica che attende la vita intorno a sé, delle lavandaie che fanno il bucato sulle rive del Po.
In contrapposizione, lungo il fiume, scivolano le imbarcazioni dei canottieri, i nobiluomini e gli imprenditori si riuniscono sulle poltrone dei salotti degli uffici, nasce il rito mondano dell’aperitivo, l’esotismo diventa sogno da sbirciare dentro i padiglioni di una kermesse dal respiro internazionale. Nel 2006, dopo un altro periodo di buio, Torino ha saputo imporsi all’attenzione del mondo, organizzando in maniera impeccabile le Olimpiadi Invernali. A quando il prossimo scippo? Si attendono notizie dal Lingotto.

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