Strumenti del mestiere

GENOVA + 10 
Radio Popolare gira per le sale degli incontri e per le strade di Genova ponendo a cittadini e ospiti domande del tipo: «Come giudica le iniziative per ricordare quel che accadde a Genova dieci anni fa?». Oppure: «Cosa è cambiato da allora a oggi?». Domande semplici, non peregrine.

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Radio Popolare gira per le sale degli incontri e per le strade di Genova ponendo a cittadini e ospiti domande del tipo: «Come giudica le iniziative per ricordare quel che accadde a Genova dieci anni fa?». Oppure: «Cosa è cambiato da allora a oggi?». Domande semplici, non peregrine.
A noi, che dieci anni fa eravamo responsabili del “media center” alla scuola Pertini e alla Diaz, hanno chiesto cosa è cambiato in quel progetto di comunicazione indipendente che allora fu alla base di un tentativo (forse il primo, nel nostro Paese, di tale ampiezza) di spazzar via, anche se per poco, liturgie e vizi dell’informazione. In parte l’esperimento riuscì e in parte no.
Vorrei spiegarmi con un esempio, anche se avevo giurato di non indulgere in nostalgie: quando, a nome del Genoa Social Forum, dovetti prendere possesso delle chiavi delle due scuole, che sarebbero diventate il “media center”, arrivati alla Diaz, che era di competenza della provincia, un gentile funzionario e un paio di dipendenti provinciali mi consegnarono le chiavi non senza prima farmi fare un giro nella scuola per verificare lo stato in cui ce la affidavano. Poiché c’erano lavori di ristrutturazione in corso (sospesi per l’occasione), in un paio di sgabuzzini vennero ammassati i picconi, i badili e i grossi martelli degli operai e mi venne precisato che le chiavi degli sgabuzzini non ci venivano consegnate perché quelle porte non dovevano essere aperte. Un po’ per scherzo e un po’ per prudenza, chiesi loro se non fosse meglio far portare via quei materiali perché non vorrei, dissi, che un domani qualcuno possa dire che li ha portati dentro qualcuno di noi. «Ma cosa dice, dottoressa – mi rispose il cortese funzionario – è evidente che si tratta di strumenti di lavoro». Il 22 luglio alle ore 12, a poche ore dalla macelleria che si era consumata in quella scuola – centinaia di persone pestate, molte in gravissime condizioni, 93 i fermati e portati a Bolzaneto e, lì, ancora seviziati – nel corso della conferenza stampa in Questura, sapete cosa c’era bene in vista su un tavolo, mostrate come prove del fatto che la Diaz era un «covo» , sotto i flash di fotografi e giornalisti di tutto il mondo? C’erano un po’ di zaini, qualche passamontagna, due bottiglie molotov (le stesse che sono costate la falsa testimonianza all’allora capo della Digos, Spartaco Mortola) e, ben allineati, i picconi, i martelloni e i badili degli operai che lavoravano alla Diaz.
Queste stesse cose le ho riferite nel corso di un paio di processi nei quali sono stata chiamata a testimoniare. Le voglio ricordare a proposito dell’informazione indipendente che a Genova si è mostrata per la prima volta e senza la quale, forse, alcuni processi non avrebbero portato agli esiti che conosciamo. La “nostra” informazione, a Genova, ha rovesciato uno dei “dogmi” di questo mestiere che vuole il giornalista geloso delle proprie fonti e delle notizie che riesce a scovare, sulle quali costruisce la “propria” informazione nonché la carriera.
Tutto questo è durato fino a quando la politica-spettacolo di Berlusconi non ha “convinto” anche l’informazione a far parte integrante del circo. Da allora in poi tutto sembrò perduto e gli spazi di libera informazione quasi del tutto chiusi. Di recente, invece, è accaduto un fatto che ha del miracoloso: la vittoria nei referendum, ottenuta senza alcun sostegno dei media, senza uno straccio di “par condicio” nelle televisioni e nella stampa. Ma grazie al passaparola, a internet, alla convinta partecipazione e all’immaginazione dei cittadini e ai social network. Ora sono in molti a pensare che ce la si può fare, a vincere anche senza i media.
Eppure non mi rassegno, anche il cittadino-giornalista ce la può fare.

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