Siena, il vento alza le donne

«Se non ora quando», in duemila da tutta Italia. Dopo il 13 febbraio le donne allargano la rete. Il movimento rivendica l’autonomia dai partiti, parla di lavoro e di nuova cittadinanza

«Se non ora quando», in duemila da tutta Italia. Dopo il 13 febbraio le donne allargano la rete. Il movimento rivendica l’autonomia dai partiti, parla di lavoro e di nuova cittadinanza

SIENA. «E alle donne politiche voglio dire una cosa: non camminateci sopra, non fate di noi un cappellino politico». L’applauso scroscia come una doccia fresca quando la napoletana Simona Molisso parla dal palco del torrido Parco Sant’Agostino, davanti a duemila donne in battaglia contro un paese «che non è per donne». Siamo a Siena, all’appuntamento nazionale di Se non ora quando, il movimento che da Roma il 13 febbraio ha segnato l’inizio della primavera italiana. Poi c’è stato tutto il resto, amministrative, referendum, vento che cambia. Sul palco salgono in centinaia, donne, vecchie, mature o ragazzine, tutte diverse, tutte in grado di cantare People have the power di Patti Smith e tutte in grado di rappresentare questa moltitudine plurale che guarda con diffidenza la politica e riserva qualche fischio alle politiche «amiche» venute fin qua. Simona, però, lo rappresenta benissimo, con il suo personale paradosso: avverte le politiche «non camminateci sopra», eppure lei è una politica: una delle cinque donne elette nel nuovo consiglio comunale di Napoli.
Perché è inutile girarci intorno: questo appuntamento ovviamente «è già politica», ed è la politica al centro di questo appuntamento. Una politica generalmente intesa, che rappresenta male le donne, dicono in molte pensando alla corte di Berlusconi, ma anche verso il centrosinistra non ci sono particolari entusiasmi. «Abbiamo convocato il paese», rivendicano, «Ora dobbiamo mirare in alto, pensare in grande. Lavoriamo per noi cioè lavoriamo per l’Italia». Non si farà un partito, giurano tutte, ma oggi nascerà ufficialmente il movimento, «da ora in poi continueremo ad allargare la rete e a porre la nostra agenda di temi alla comunità politica. Nel contempo, continueremo un lavoro importante sulla coscienza di sé delle donne, sulla loro forza, sulla loro capacità di dare una svolta al Paese», dice la regista Cristina Comencini, una delle fondatrici del comitato nazionale, il cui intervento (finale) è atteso per oggi pomeriggio.
E così le esponenti politiche all’inizio, per riflesso condizionato di autodifesa, si siedono tutte insieme nelle sedie centrali: una trappola, lì il sole cuoce. Nel pomeriggio salgono sul palco e parlano, tre minuti come le altre, ma tutte si prendono la loro dose di fischi: Flavia Perina (Fli) quando dice di non ridurre tutto allo schema «le veline sono di destra e l’impegno è di sinistra», Rosy Bindi quando dice «chiederò al mio partito di venire fra voi», intendeva dire «mettersi in ascolto» ma la platea è ipersensibile al tema dei «cappellini politici» e fa una fischiata preventiva. Va molto meglio a Susanna Camusso, segretaria Cgil, da sempre impegnata in un pezzo del femminismo milanese. Qualche buuu lo prende anche lei all’inizio, per quell’accordo indigeribile firmato con Confindustria, ma poi è applaudita quando propone una legge per la paternità obbligatoria.
Il lavoro è il centro del discorso di tutte, la crisi ha messo a rischio la stanza tutta per sé dei tempi di Virginia Wolf. Dalle archeologhe che salgono in venti sul palco, a Linda Laura Sabbadini, dell’Istat, che scatta una foto sconsolante dell’Italia: «Meno di metà delle donne lavora, al Sud neanche un terzo. Siamo uno dei fanalini di coda in Europa. La disoccupazione femminile è più alta di quella maschile e a parità di titolo di studio le donne guadagnano meno».
L’altro tema fondativo è un concetto la cui definizione è più sfuggente, quello della dignità femminile. E qui siamo in un terreno complicato, che un happenig di piazza fatica a mettere a fuoco. Per Francesca Comencini, «il tema della dignità offesa delle donne non era un problema di decoro morale ma era contro la creazione di un velo che non consentiva alle donne di essere considerate cittadine del loro paese». Per altre è l’idea di una «più degna» rappresentanza femminile. Ma alla politica basterebbe forse chiedere, o ancor meglio fornire, presenza femminile, anche libera da inespletabili obblighi di rappresentanza di genere. Ma appunto, il movimento dovrà camminare. C’è anche il tema della leadership e della rappresentanza del movimento «che sarà bene discutere e nominare esplicitamente», dice Nicoletta Dentico, un’altra delle fondatrici, associazione Filomena. Dovrà camminare anche parecchio, se ieri fra l’entusiasmo e i palloncini rosa è potuto anche succedere che a Giovannella che esponeva una bandiera No Tav è stato chiesto di chiudere la bandiera. Intanto dal 13 febbraio molta strada già è stata fatta, e si va stemperando (un po’), lo spirito da annozero, l’idea di una «uscita dal silenzio» iniziale, che finiva per negare il gran lavoro fatto e scritto dalle molte che mai sono state zitte.
Annozero non è, ma intanto si registra è «una nuova voglia di relazione, di mettersi insieme, in un noi che non appiattisca le differenze» (Cecilia D’Elia, assessora alla provincia di Roma) e che riconosca «le eccellenze come ricchezza e forza» (Francesca Izzo, Orientale di Napoli).

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