"Le cose che ho visto resteranno per sempre dentro di me. Vorrei poterle cancellare dalla memoria Ma ancora di più vorrei che ciò che ho visto non fosse mai accaduto Questo peccato perseguiterà  l'umanità  fino alla fine dei suoi giorni"
Arrestato e torturato dalla Gestapo nel '44 riuscì a fuggire negli Stati Uniti dove scrisse e pubblicò "Il mio rapporto al mondo" Supplicò Roosvelt: "Vi prego, fermate la barbarie"

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” Li caricano sui treni, sparano a caso, ridono Poi ricominciano…”

Travestito da guardia nel Lager di Belzec. Fu così che nel 1942 il partigiano polacco Jan Karski riuscì a scoprire la Shoah. E a documentarla per primo Ma invano

“Le cose che ho visto resteranno per sempre dentro di me. Vorrei poterle cancellare dalla memoria Ma ancora di più vorrei che ciò che ho visto non fosse mai accaduto Questo peccato perseguiterà  l’umanità  fino alla fine dei suoi giorni”
Arrestato e torturato dalla Gestapo nel ’44 riuscì a fuggire negli Stati Uniti dove scrisse e pubblicò “Il mio rapporto al mondo” Supplicò Roosvelt: “Vi prego, fermate la barbarie”

Travestito da guardia nel Lager di Belzec. Fu così che nel 1942 il partigiano polacco Jan Karski riuscì a scoprire la Shoah. E a documentarla per primo Ma invano

“Le cose che ho visto resteranno per sempre dentro di me. Vorrei poterle cancellare dalla memoria Ma ancora di più vorrei che ciò che ho visto non fosse mai accaduto Questo peccato perseguiterà  l’umanità  fino alla fine dei suoi giorni”
Arrestato e torturato dalla Gestapo nel ’44 riuscì a fuggire negli Stati Uniti dove scrisse e pubblicò “Il mio rapporto al mondo” Supplicò Roosvelt: “Vi prego, fermate la barbarie”

Alla mia sinistra notai il binario, che correva lungo il Lager. Una specie di rampa conduceva al binario, e sui binari era fermo un vecchio treno merci con almeno una trentina di vagoni sporchi e polverosi […].
«Mi segua, la porterò a un buon posto d´osservazione», disse il mio accompagnatore ucraino. Passammo accanto a un vecchio ebreo, che sedeva nudo in terra. Non capii se qualcuno gli avesse strappato via i vestiti, o se egli stesso se li fosse tolti in un attacco di follia. Se ne stava là seduto, immobile, silenzioso, il volto senza espressione, avrebbe potuto essere morto, o pietrificato, se non fosse stato per quei suoi occhi vivaci fino all´innaturale, e che ci guardavano senza sosta. Non lontano da lui, un bambino giaceva a terra. Era solo, camminava mani e piedi, mi guardò con gli occhi di un coniglio impaurito. Né del vecchio né del bambino si curava nessuno […].
Le baracche potevano avere spazio per non più di duemila o tremila persone, e ogni “consegna” era composta di oltre cinquemila persone. Ciò significava che ogni volta due o tremila uomini, donne e bambini si dividevano il poco spazio all´aperto, lasciati indifesi sotto il maltempo. Caos, fame, l´orrore era indescrivibile. Dominava tutto un fetore bestiale di sudore, sporco, marciume, paglia umida ed escrementi. Dovemmo aprirci un varco attraverso quella massa umana, era una tortura. Camminavamo su corpi umani, su membra umane […] dovevo trattenere un tremendo senso di nausea[…].
Mi voltai, due poliziotti tedeschi arrivarono al cancello con un massiccio, alto ufficiale delle SS. Egli urlò un ordine, e i poliziotti tra mille sforzi aprirono il cancello […]. «Silenzio! Silenzio!», gridava l´SS, «tutti gli ebrei adesso saliranno su questo treno, e verranno portati in un luogo dove il lavoro li aspetta. Silenzio, conservate la calma, non spingete. Chi cercherà di opporsi o causerà panico verrà ucciso sul posto». All´improvviso, ridendo di cuore ad alta voce, estrasse la pistola d´ordinanza dalla fondina e sparò tre volte a caso sulla folla. Un unico lamento di gente ferita fu la sola risposta. Lui ghignò, ripose la pistola nella fondina e riprese a urlare: «Alle Juden Raus, Raus!». Per un attimo la folla tacque. I più vicini all´ufficiale delle SS cercarono presi dal panico di schivare le pallottole, di spingere indietro. Ma era impossibile. La folla si accalcava sospinta da salve d´arma da fuoco verso il treno. Gli spari venivano dalle loro spalle, senza sosta, spinsero la folla in un brutale correre nel panico verso la rampa. «Ordine, ordine!», gridava l´SS. Su quei vagoni merci c´era posto per una quarantina di persone, i tedeschi ne ammassarono centoventi-centotrenta su ogni vagone, spingendo o sparando con i fucili d´ordinanza […].
Il pavimento dei vagoni era cosparso di polvere bianca, i nazisti innaffiarono d´acqua i vagoni già pieni. Era calce viva. Il loro atroce calcolo aveva un doppio scopo: la carne umana bagnata, venendo in contatto con la calce, brucia, molti dei poveretti nei vagoni finivano letteralmente bruciati, la calce gli divorava la carne fino alle ossa, in tal modo gli ebrei dovevano «morire tra sofferenze atroci», come Himmler aveva promesso nel 1942 a Varsavia «secondo la volontà del Führer» […].
Durò tre ore, finché il treno non fu pieno e partì. Nel Lager rimasero poche dozzine di cadaveri o di moribondi feriti a terra, i poliziotti sparavano qua e là colpi di grazia […]. Il treno si allontanava tra le grida dei prigionieri che provenivano dai vagoni, quarantasei vagoni, li contai tutti. Il treno avrebbe viaggiato per circa centotrenta chilometri, si sarebbe poi fermato in un posto abbandonato in aperta campagna. Sarebbe rimasto là fermo, finché la morte non si fosse diffusa in ogni angolo del suo interno. Durava da tre a quattro giorni […].
Quando poi calce, soffocamento e ferite avrebbero avuto la meglio sulle ultime urla di dolore, sarebbe venuto un gruppo di giovani deportati. Giovani ebrei, ancora in forze. A loro toccava eseguire l´ordine di pulire il treno da cima a fondo, svuotarlo dei cadaveri, bruciare le montagne di cadaveri e gettare i poveri resti in fosse comuni. Durava da uno a due giorni. Intanto arrivavano nel Lager le prossime vittime, e tutta la procedura ricominciava […].
Queste immagini che vidi nel Lager resteranno per sempre dentro di me. Non farei nulla più volentieri che cancellarle dalla mia memoria. Il ricordo risveglia la nausea a ogni istante. Ma più ancora che dalla memoria, vorrei liberarmi dal pensiero che quanto io vidi è accaduto.
(Traduzione di Andrea Tarquini
Per gentile concessione della casa editrice
Verlag Antje Kunsmann, Monaco)

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