Organizzare gli esclusi, una lezione

Organizzare i disorganizzati. Era questo il titolo della giornata dell’Organizing che si è tenuta lo scorso 14 luglio nell’ambito di Ora Tocca a Noi, la festa nazionale dei giovani della Cgil e della rivista Molecoleonline.it.

Organizzare i disorganizzati. Era questo il titolo della giornata dell’Organizing che si è tenuta lo scorso 14 luglio nell’ambito di Ora Tocca a Noi, la festa nazionale dei giovani della Cgil e della rivista Molecoleonline.it.

Un titolo di per sé evocativo dei temi e delle esperienze al centro della giornata: l’obiettivo della costruzione del potere (quello dei deboli) ed il modo di costruirlo in una società plurale e frammentata. Il pensiero – di questo ha parlato Mattia Diletti, ricercatore in scienza politica alla Sapienza – non può che andare alla riflessione ed ancor di più all’azione di Saul Alinsky che, nello storico distretto del meatpacking della Chicago degli anni Trenta – il Back of the Yards – era stato protagonista di uno dei più straordinari esempi di sindacalizzazione e di costruzione comunitaria della storia d’America. Al centro della sua ricetta stava l’idea che il potere degli esclusi lo si edificasse sulla base della loro stessa percezione dei propri interessi (prima ancora che su schemi culturali di importazione), sul coinvolgimento del territorio (quella community sempre presente nel discorso politico americano), sulla tessitura di coalizioni sociali larghe ed infine sulla laboriosa costruzione di leadership naturali ed «indigene», che fossero espressione diretta dei gruppi mobilitati.
La lezione di Alinsky ha ispirato quasi un secolo di battaglie – spesso vittoriose – portate avanti da minoranze discriminate, working poors non sindacalizzati, quartieri-ghetto e zone rurali dimenticate. Da ultimo, l’esperienza eccezionale del sindacato Seiu fra i lavoratori del terziario povero – dai dipendenti dei Casinò fino agli addetti alle pulizie passando per il personale dei grandi alberghi – ed alcune fra le pagine più interessanti dell’ascesa di Barack Obama alla Casa Bianca sono state scritte con il contributo fondamentale del linguaggio, della visione del mondo e dello stile d’azione degli organizer.
La piana del Sele, i centri commerciali del grande raccordo anulare e le periferie dello sprawl padano non sembrano a prima vista assomigliare al meatpacking district nella Chicago della Grande Depressione. Eppure l’Italia e l’Europa di oggi non sono mai state così vicine all’America di Alinsky. Di fronte a noi abbiamo territori e situazioni sociali dove si è rotta per sempre l’omogeneità culturale, la coesione sociale si è allentata in modo fondamentale e dove i “margini” – a partire dal mercato del lavoro – si allargano sempre di più mettendo in discussione le modalità ordinarie di costruzione della rappresentanza sociale. Anche per questo la lezione di Alinsky e dei suoi interpreti contemporanei è divenuta attuale anche in contesti tradizionalmente lontani da quello americano. Come in Europa, per esempio, dove – ci hanno raccontato Lisa Dorigatti dell’Università Statale di Milano e Fabio Ghelfi della Cgil lombarda – grandi organizzazioni sindacali quali IgMetal e Ver.di in Germania hanno portato avanti campagne di organizing fra i lavoratori interinali nel settore metalmeccanico ed i dipendenti dei discount alimentari.
La forza del pensiero di Alinsky e della tradizione dell’organizing sta nella riflessione sul metodo entro una visione realistica della società e del potere. Una lezione indispensabile a superare approcci semplicistici (e datati) al tema degli strumenti di organizzazione e mobilitazione delle persone. In contesti in cui abbiamo bisogno di progetti – sofisticati e pro-attivi – di costruzione dell’identità e quindi del potere, per mezzo di una rivisitazione del ruolo della campagna – sindacale, sociale, territoriale – e dell’attivista, l’organizer appunto.
Con questo spirito, quattro workshop sono stati dedicati alla presentazione di esperienze innovative di mobilitazione sociale di questi anni, con un’attenzione particolare al ruolo delle giovani generazioni. Dalle campagne territoriali di sindacalizzazione dei lavoratori immigrati nelle terre del caporalato all’esperienza del Comitato Il Nostro Tempo è Adesso, passando per le vertenze sindacali di impatto nei luoghi del nuovo terziario, fino agli esempi di una nuova stagione della comunicazione politica e sociale: il seme di una possibile diffusione anche in Italia di modelli nuovi di organizzazione e promozione dei soggetti deboli ed esclusi sembra essere stato gettato in questi mesi di fermenti più o meno visibili. Una ricchezza di esperienze – e di questo si è parlato in chiusura con Enrico Panini, della Segreteria confederale della Cgil – che può intrecciarsi con storia e prospettive del movimento sindacale italiano, a partire da nuove forme di presenza nel territorio e da uno slancio per intercettare gruppi e persone oggi disorganizzati.

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