No Tav, ancora scontri e sassaiole e la polizia spara i lacrimogeni

Chiomonte, anche due bambini tra i manifestanti. Ed è polemica.    Viene tirata giù una cancellata, gli agenti a quel punto sparano i gas sulla folla 

Chiomonte, anche due bambini tra i manifestanti. Ed è polemica.    Viene tirata giù una cancellata, gli agenti a quel punto sparano i gas sulla folla 

CHIOMONTE – I pensionati e i ragazzini picchiano con le pietre contro il guard-rail: è il loro modo di dire no al supertreno. E ci sono donne, anziani, cani, disabili. C´è di nuovo un bel pezzo di Val Susa, davanti alla centrale elettrica di Chiomonte che rappresenta la porta del cantiere: si va avanti così fino alle otto di sera, quando un pezzo di cancellata viene divelto, e allora la polizia e i carabinieri (cinque i feriti, alla fine) cominciano a sparare lacrimogeni. Si continua per quasi mezz´ora, tra lanci di pietre e bulloni, getti di idrante e grossi petardi, e poi nel buio fino a notte inoltrata, in quello scenario da guerriglia tra i boschi che la Val Susa conosce bene. Non è come il 3 luglio, quando si contarono centinaia di feriti, però i gas arrivano dentro la zona che chiamano «il campeggio», ed è la tendopoli che rappresenta il presidio permanente dei No Tav. Viene anche definita «la repubblica libera della Maddalena»: un luogo, una geografia che è poco più di un fazzoletto di terra ma è molto più di un simbolo.
Questa è una lunga storia destinata a non finire, una resistenza forte con angoli estremi, assai acuti. Non ci sono i black bloc, stavolta, ma in tanti sono arrivati da Genova, dove avevano ricordato i dieci anni del G8, e di quella vergogna nazionale mascherata da difesa dell´ordine. Tra gli altri, segnalato anche Stefano Milanesi, ex di Prima Linea da anni in lotta contro la Torino-Lione. Anche Haidi e Giuliano Giuliani, i genitori di Carlo, sono arrivati al campeggio per essere solidali e portare testimonianza. «Se nostro figlio fosse vivo, certo sarebbe qui oggi. Aveva capito tutto, era piccolo ma era sveglio», dice la mamma, e il marito annuisce. La gente applaude. «A volte penso alla mia nipotina che ha solo tre anni, e mi dico che le stiamo lasciando un mondo diverso da quello che avevamo sperato». Tra le tende, anziane signore vendono le magliette della protesta e non hanno proprio nulla di minaccioso. Si stappa il vino No Tav, oppure l´Avanà in offerta speciale, due bottiglie 10 euro: lo chiamano il vino del ghiaccio. Sono tanti anche i bambini e i ragazzi, portati sul luogo della protesta nonostante i rischi di scontro: pure loro, alla fine, hanno respirato i gas lacrimogeni. E proprio la presenza dei piccoli tra gli antagonisti farà dire alla polizia, più tardi, che gli agenti si sono trovati nell´impossibilità di bloccare i manifestanti che stavano staccando il cancello.
Ci sono auto dappertutto, lasciate lungo la strada che scende verso la borgata Ramats. Qui si può arrivare solo a piedi.
L´ennesima domenica della rabbia (mille persone almeno, con qualche problema alla circolazione e chiusura della statale 24 verso il Monginevro per una ventina di minuti), si è materializzata dopo un´altra notte di battaglia, con scontri nel bosco, lanci di bombe carta e sacchetti di letame, biglie di ferro e sassi. Come risposta, gas e acqua gelata. Fa freddo davanti al cantiere, il vento è forte. Poi arrivano gli ex alpini, venuti a protestare contro la Brigata Taurinense che presidia il cantiere insieme alle forze dell´ordine. Nonostante la diffida da parte dell´Ana, tante ex penne nere hanno indossato ugualmente il cappello («Sono più alpino io di quei mercenari là dentro!»), poi sono saliti fino al cantiere della Maddalena per intonare qualche storico canto e gridare il loro dissenso verso i militari. La protesta, tutto sommato, è stata tranquilla finché la scena non si è di nuovo spostata davanti al cancello che da settimane si prova a far saltare.
Stavolta, i più accaniti tra i No Tav si sono messi a scavare sotto la base di cemento, poi hanno legato corde e funi alla griglia di rinforzo della cancellata: alle otto di sera, quel pezzo di ferro è stato divelto tra gli applausi, quasi il segnale della battaglia imminente, o forse una specie di dichiarazione di guerra. E sempre, in sottofondo, il battere ritmico delle pietre e dei bastoni sul ferro. Gli agenti, a quel punto, hanno indossato gli elmi, hanno sollevato gli scudi e imbracciato i fucili caricati a gas: si è andati avanti così per mezz´ora, come se non potesse essere altrimenti, e poi ancora nella notte tra i boschi, complice il buio. Tra una settimana si replica. E non si chiude.

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