La nota Istat su «La povertà in Italia», relativa al 2010, ci restituisce l’immagine di un’Italia povera. Di un paese socialmente fragile, con un esercito di 8.272.000 individui (462.000 in più rispetto al 2009) in condizione di povertà relativa (costretti cioè a una spesa mensile inferiore a una soglia che per una famiglia di due membri è pari a 992 euro). E con 1.156.000 famiglie in condizione di povertà assoluta, per le quali cioè risulta impossibile procurarsi un pacchetto di beni e servizi considerati il minimo indispensabile per condurre una vita decente. Era così prima della crisi. Continua ad esserlo durante la tempesta.
La nota Istat su «La povertà in Italia», relativa al 2010, ci restituisce l’immagine di un’Italia povera. Di un paese socialmente fragile, con un esercito di 8.272.000 individui (462.000 in più rispetto al 2009) in condizione di povertà relativa (costretti cioè a una spesa mensile inferiore a una soglia che per una famiglia di due membri è pari a 992 euro). E con 1.156.000 famiglie in condizione di povertà assoluta, per le quali cioè risulta impossibile procurarsi un pacchetto di beni e servizi considerati il minimo indispensabile per condurre una vita decente. Era così prima della crisi. Continua ad esserlo durante la tempesta.
Soprattutto però i dati Istat confermano la persistenza, anzi l’aggravamento, di tutte le caratteristiche che sono state indicate come tipiche del “modello di povertà” italiano. Un modello patologico, senza confronti in Europa. Esse sono tre. In primo luogo lo squilibrio nord-sud, con un differenziale territoriale che per la povertà relativa raggiunge le 5 volte: il 67% della povertà italiana continua a concentrarsi nel Mezzogiorno, nonostante vi risieda appena il 31% della popolazione. In secondo luogo l’altissima incidenza della povertà tra le famiglie numerose, in particolare quelle con figli minori a carico, che fa dell’Italia la maglia nera in Europa per quanto riguarda la più scandalosa delle povertà, quella dei minori, che qui raggiunge la percentuale record del 25% (secondo l’agenzia statistica europea Eurostat). Infine l’alto livello di povertà, sia relativa che assoluta, tra i lavoratori. La presenza, imbarazzante, dei working poor, dei “poveri al lavoro”. O, se si preferisce, di coloro che sono poveri sebbene lavorino (più del 6% sono in condizione di povertà assoluta!).
Ebbene, tutti e tre questi aspetti risultano – in alcuni casi drammaticamente – peggiorati nell’ultimo anno. È sconvolgente che la povertà relativa sia aumentata, in un solo anno, tra le famiglie numerose, di ben 5 punti percentuali (dal 24,9% al 29,9%). E che nel Meridione, tra le famiglie con tre e più figli minori, il balzo sia stato addirittura di 11 punti (dal 36,7% al 47,3%). Significa che lì, un minore su due vive in una famiglia povera. E che una famiglia numerosa su tre è povera. Nel Meridione, d’altra parte, è peggiorata verticalmente anche la posizione dei lavoratori autonomi (dal 14% al 19,2%) e quella delle persone con titolo di studio medio alto (dal 10,7% al 13,9%), a dimostrazione di quanto la crisi sia arrivata a mordere nel vivo anche tra le classi medie (è un segnale nefasto che «tra le famiglie con persona di riferimento diplomata o laureata aumenti anche la povertà assoluta, (dall’1,7% al 2,1%)».
Possiamo immaginare quale possa essere l’effetto degli interventi lineari della manovra or ora approvata a tempo di record, su questa ampia parte dolente del Paese. Che cosa comporti il taglio delle detrazioni fiscali per figli minori e asili nido o per cure pediatriche; la soppressione di servizi essenziali in campo educativo e sanitario; la reintroduzione dei ticket, accompagnati agli effetti sperequativi del cosiddetto “federalismo fiscale”. Sale sulle ferite. Come di chi preme sulla nuca di un uomo che affoga.
0 comments