L’impossibilità  di una polizia democratica

Tutte le informazioni di cui si dispone indicano che non c’è stato alcun processo di risanamento democratico nelle polizie italiane dopo i fatti del G8 di Genova, come del resto non ce n’è stato dopo la legge di riforma del 1981 e neanche dopo il fascismo.

Tutte le informazioni di cui si dispone indicano che non c’è stato alcun processo di risanamento democratico nelle polizie italiane dopo i fatti del G8 di Genova, come del resto non ce n’è stato dopo la legge di riforma del 1981 e neanche dopo il fascismo.

È vero che, in particolare nell’ultimo ventennio e dopo l’11 settembre, in tutte le polizie dei paesi democratici c’è stata una chiara tendenza all’involuzione autoritaria. La documentazione è agghiacciante, basta sfogliare i rapporti annuali di Amnesty international, Statewatch e altre associazioni di difesa dei diritti umani. Tuttavia, l’Italia appare palesemente un caso estremo: in nessun altro paese democratico i condannati non solo non sono né sospesi né destituiti, ma anzi promossi ai più alti ranghi. È stato così per i responsabili del massacro al G8 di Genova, per il generale del Ros Ganzer, per i dirigenti della questura di Bologna durante i crimini della “Uno bianca” e ancora per decine di altri casi. Un esempio è emblematico: su tutti i reati commessi da operatori delle polizie non è mai esistita una statistica ufficiale!
Perché? I democratici nei ranghi delle polizie italiane sono una piccola minoranza; sono isolati, spesso oggetto di angherie e persino di persecuzioni. La stragrande maggioranza dei parlamentari ed eletti negli enti locali (e lo stesso vale per gli intellettuali) non s’è mai interessata a come funzionano le polizie e non s’è mai preoccupata del controllo democratico delle pratiche di queste istituzioni. Come s’è visto in occasione dei recenti servizi di ordine pubblico in Val di Susa e come è avvenuto in altre precedenti occasioni, gli attestati di sostegno all’operato delle polizie sono stati condivisi all’unanimità, dal Presidente della Repubblica a tutti i partiti. Così il ministro Maroni ha avuto gioco facile ad additare i valsusini di terrorismo e di tentato omicidio, osannando un blitz che effettivamente ha rischiato di uccidere e ha usato armi da guerra illecite (fra i quali il gas al Cs).
Sappiamo che l’Italia non ha mai avuto una tradizione effettivamente liberal-democratica (e non liberista). I rari democratici coerenti sono sempre stati marginali e isolati mentre si è spesso acclamata la legalità innanzitutto per punire i “dannati della terra” (come dimostra la grande maggioranza degli incarcerati italiani e stranieri). È nel 1939 che Edwin Sutherland aveva proposto di occuparsi dei crimini dei colletti bianchi, per non parlare di tutta la letteratura storica sui crimini dei potenti. Ma chissà perché nessuno ha mai guardato i reati delle divise, benedetti da un’impunità che uccide. Così è stato per Carlo Giuliani. Ma questo non sembra interessare nessuno. Quand’è che, intellettuali e non, ci si mobiliterà seriamente per il risanamento democratico delle polizie?

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